domenica 28 dicembre 2008

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*..le distratte corse libere nei cuori a volte fanno meglio delle grandi cose..*



giovedì 25 dicembre 2008

New Renaissance

Caro Babbo Natale (mò tutti i bigotti banaloni a pensare che sono una pagana materialista),
mi rivolgo a te perchè ho pensato ma hai capito proprio oggi quanti hanno scritto a quel povero Cristo di Gesù Cristo?
Perciò mi rivolgo a te, perchè così su sei miliardi di persone ce n'è una che il bambinello lo fa almeno nascere prima di tartassarlo con richieste, preghiere e letterine occasionali. E poi, parliamoci chiaro: tu c'avrai pure da fare ma le tue responsabilità sono annuali, poi comunque se succede qualcosa la gente subito jastemma* (bestemmia), mica si mette a dire mannaggia a Babbo Natale?
Qua come al solito non si capisce niente. Qua, a Pomigliano d'Arco, in questo posto che a volte penso mamma mia chissà se Gesù Cristo si ricorda di averlo creato un posto così, e altre volte invece, magari quando vedo che il colera dilaga in Zimbabwe dico
mamma mia meno male che Gesù Cristo l'ha creato questo posto così!
Caro Babbo Natale, qui è Natale un'altra volta ed io già mi immagino la collera che ti sta avvelenando il corpo, in fondo sti regali non se li merita quasi nessuno. Io personalmente non ho niente da chiederti, però avrei comunque due cose da dirti, e quindi voglio sperare che tra le tante letterine non sia proprio la mia quella più guallerosa* (pallosa) di tutte.
Io a te ci credo e l'unico sfizio che ancora resta insoddisfatto e sospeso è quello di conoscerti di persona, proprio vederti in carne ed ossa.
Mi sono proprio sfasteriata* (scocciata) di guardare il tuo pezzotto* (fasullo) in quella foto di quando avevo manco un anno: stavo in braccio a un Babbo Natale che si sarà chiamato Giorgio e la Finlandia non la sapeva manco individuare sulla cartina geografica! Peraltro quando guardo quella foto mi sento male, somatizzo, e così penso di poter soffocare da un momento all'altro: quel cretino mi teneva stretta, ma stretta come se volesse farmi schiattare. E poi mi chiedo ma io che cavolini di Bruxelles ci facevo in braccio a uno che di tuo non tiene manco un pelo della bianchissimissima barba? Nera!, che dico ma che caspito, un po' di tintura bianca per essere più credibile te la potevi azzeccare in faccia!, e poi quella linea perfetta che non dico devi ingrassare per farti le foto con i bambini! ma perlomeno un cuscino sotto alla panza, e che cavolo veramente!
Quindi, Babbo Natale, togli a tutti sti magnafranchi* (parassiti) che girano per le strade e si spacciano per tuoi funzionari manco fossero gli apostoli mandati da Dio! Falli scomparire tutti nei tuoi sacchi di tela infiniti, dalli in pasto alle tue renne, investili con la slitta, falli rimanere incastrati a testa in giù nei comignoli delle case di tutto il mondo.. che ne so Babbo Natà, fai tu, ma in qualche modo fai, perchè mi stanno antipatici, non ci mettono passione! Grazie che poi i bambini dicono ma quale Babbo Natale, Babbo Natale non esiste, tu sei zio Pino! E comunque basta preamboli.
Devi pensare che io, poi, qualche notte fa pensavo uh Gesù ma tengo 20 anni. Non è grave lo so, ma ci sono cose che pure a ripeterle quotidianamente non ci stai poi così in confidenza, non le realizzi, non te le senti addosso.
Ma poi voglio dire, venti anni! Sai che significa?
Significa che questo è il mio ventesimo Natale e saranno almeno dieci gli anni che tu non passi da qua. Ma ce l'hai con me, Babbo Natà?
Una volta, la metà di venti anni fa, ti lasciai un barattolo di nutella da duecentocinquanta grammi sul tavolo del soggiorno, con accanto un cucchiaio col manico rosso perchè tu potessi mangiarla. Ti avevo preparato anche un tovagliolo, me lo ricordo benissimo. Io sono un po' fissata su queste cose, già di natura sono un po' maniacale, poi per gli altri devo mettere tutto apposto, deve essere tutto pronto. Che poi pensa com'è strana la vita, faccio sempre in modo che sia tutto lineare e geometricamente squadrato però ci rimango male se mi accorgo che alla fine le cose cambiano nel loro ordine ma non nella loro essenza. E' deprimente ma è anche la verità. Ad esempio, dopo tutti i pugni nello stomaco che mi sono data ho capito che o così o con venti kili in meno la mia vita sarebbe comunque la stessa. Nel senso che io sarei sempre io. E tutto il resto sarebbe comunque tutto il mio resto, se capisci cosa intendo dire. Ma comunque lasciamo stare sti discorsi.
Devo proprio rimproverarti! Ma tu ti rendi conto?..il vasettone di nutella, il cucchiaio col manico rosso e perfino il tovagliolo per pulirti la barba, che manco al Ritz a Parigi ti avrebbero accolto così bene...e poi vengo a sapere che la nutella l'aveva buttata giù a chucchiaiate papà, e col tuo presunto permesso!
E non finisce qui.
Vogliamo parlare di quell'anno in cui la swatch lanciò sul mercato quell' orologio-bellissimo-che mia cugina Annalisa ce l'aveva tale e quale-uguale e spiccicato!, quell'orologio col quadrante raffigurante i visi dei bambini di tutto il mondo, ne vogliamo parlare?
La sera della vigilia di Natale di quell'anno eravamo a cena da zia Carmela e tra una fella di capitone e una scella di baccalà (è esigenza linguistico-formale, non mi piace il capitone e manco il baccalà) zio Franco mi aveva dato il tuo numero. Era un numero strano e io manco lo sapevo che era quello della scheda di un telefonino (quello di zio Franco, per l'appunto!). Però lui mi disse Robè a zio, chiama che questo è il numero di Babbo Natale. Io ti chiamai quella sera. Ti chiamai e ti richiamai. Ma rispondeva sempre la stessa voce della stessa signorina che diceva che il cliente non era raggiungibile. La mattina dopo, sotto l'albero, trovai l'orologio e fui, forse, anche contenta, però pensai anche che tu non mi avevi risposto al telefono.
Babbo Natà, insomma, a finale* (alla fine) diciamo che di figure di merda con me ne hai azzeccate almeno un paio.
E non sai quanto vorrei che fosse ancora così, Babbo Natà. Davvero, se anche tu non venissi, vorrei perseverare nel crederti.
Io vorrei cercarti ancora con l'entusiasmo della bambina che crede nella bellezza della tua presunta casa, che magari condividi con i presunti gnomi che ti aiutano a incartare i presunti regali. Vorrei lasciarti ancora la nutella sul tavolo assieme al tovagliolo e il cucchiaio col manico rosso per scoprire,poi, che non l'hai presa soltanto per lasciarla tutta a me! Non sai quanto vorrei sapere a memoria quel numero di telefono che mi diede zio Franco, chè se anche sapessi che tanto è il suo e non il tuo, chiamerei chiamerei e chiamerei ancora.
Però ne sono passati di anni, e adesso sono venti.
Preda delle pioggie o col sole nelle mani ogni anno è stato Natale, e lo è di nuovo quest'anno.
Questo è il ventesimo Natale, il ventesimo e forse il primo che so attendere con la leggerezza nel cuore di quando avevo otto anni.
Non voglio nessun regalo, non voglio né amore né pace né serenità anche perchè, parliamoci chiaro, chi sono io per chiederti tutto questo? E poi scrivere in quel tono missionario dimesso e modesto -stomachevole e finto- non fa per me, no, non sono il tipo. Certe parole le lascio a padre Fiorenzo -a proposito, se lo vedi dagli un abbraccio-.
Io non ho niente da chiedere a te né a nessun altro, proprio come chi non ha niente tra le mani. Tutto quello che arriva è guadagnato. (E tutto quello che non arriva va dal ginecologo -battuta squallida e scabrosa, hai ragione, era per alleggerire il tono-).
Non voglio niente, proprio niente.

Non ti chiedo la costanza perchè la costanza è qualcosa di così immenso e potente che nel comignolo del mio camino non ce ne entra nemmeno un quarto. Non ti chiedo l'amore perchè l'amore è troppo pure per la tua slitta. E' sublime, da prendere al volo, l'amore mica viene così! E' un fenomeno, tipo l'Etna in eruzione. Sublime. E non è un caso il fatto che io non abbia mai visto l'Etna in eruzione.
Non ti chiedo la pazienza perchè ho scoperto che ne tengo una scorta inesauribile giù nella puteca* (deposito), in mezzo alla farina e alle freselle.

Non ti chiedo manco di farmi andare in serie A perchè ho capito che al di là dei sogni esiste una sfera importante, non trascurabile, questa sfera si chiama realtà. E fare i conti con la realtà significa fare i conti con la consapevolezza di sè e del mondo.
Non ti chiedo di essere diversa o più magra o più bella perchè tu non sei Gesù Bambino (altrochè, qua ci vorrebbe proprio Jucas Casella) e quindi non fai i miracoli. E anche se tu fossi miracoloso non sono tornacontista o ipocrita come Annamaria L. G., che al liceo andava in Chiesa ad accendere un cero prima di entrare a scuola o si baciava le foto di Padre Pio se la Cimmino la doveva interrogare.
Caro Babbo Natà io sono questa, sono così, e sono io.
Anche la mia famiglia è questa, è così, ed è la mia famiglia.
E' la mia vita, capisci, la mia.
A soffrire ho sofferto, hai voglia! Però oggi va meglio. In queste sabbie mobili ci sto nuotando che è una meraviglia, e con stile.
Ho addobbato il panificio, ho fatto l'albero, ho comprato i regali e addirittura non ho nemmeno disprezzato troppo la gente che intasa l'asse mediano per andare all'ipercoop, e io faccio tardi all'allenamento, figurati! E poi, pensa, quell'imballata* (imbranata) di mia sorella Rosa ha messo il presepe precostruito, una specie di casetta che tiene i pastori attaccati col doppio attack. Pensa che io ho pure provato a staccare il bambinello ma non ce l'ho fatta. E così a casa mia Gesù Bambino è nato il 18 dicembre, c'amma fà* (che dobbiamo fare). Sono riuscita a perdonare pure lei!
Come ti dicevo, ci sto tutta nelle sabbie mobili. Non mi piace, è ovvio, però mi piace rimanere a galla, se capisci cosa voglio dire.
Io non sono pratica degli equilibri, delle cose che funzionano, delle reazioni chimiche e fisiche eccetera, delle logiche e delle operazioni che se cambi l'ordine degli addendi il risultato non cambia. Io ancora non ho capito com'è che sia possibile che se canto una canzone a mente, al contempo, mia sorella la canta ad alta voce! Cioè proprio questa storia delle reazioni e delle interazioni io non la capisco.
Come se la vita fosse un'alchimia perfetta.
Mò scusa se parlo come un libro stracciato ma tanto ci siamo capiti, e oggi non sono nemmeno troppo crepuscolare: fa parte di questa lettera, l'ho voluto io. Doveva essere così. Doveva essere la parte di me meno intricata e riflessiva, quella più semplice e spontanea, quella più chiara e decisa come questa bella giornata di sole che è venuta. Il dieci per cento insomma, proprio come quest'unica giornata di sole dopo un mese di diluvi infernali -ed io amo i diluvi infernali-.
Io sto bene, e non succede più quella cosa che se lo dico mi viene da mordermi il labbro inferiore o da grattarmi i gomiti o strofinarmi i palmi delle mani sulle cosce.
Cioè, in tutto quest'inferno io sto ugualmente respirando -a parte il raffreddore causato dalla doccia gelida in palestra, per colpa di Tani-.
Sto respirando un'aria che mi sembra pulita. E non mi incazzo se il pescivendolo qua avanti ha reso il marciapiede impraticabile, come ogni volta. E non mi incazzo se qua fuori la strada è bloccata, perchè tanto io esco a piedi. E non mi incazzo come l'anno scorso che, stessa ora e stesso giorno, stavo in quello studio a fare terapia: devo andarci tra mezz'ora e non vedo l'ora!
Non sai che soddisfazione, ho pure desiderato comprare i regali. Le tasche di mio fratello l'hanno desiderato un po' meno, ma
nun te preoccupà, nun voglio quacche cosa di soldi da te!
Comunque ne ho comprati sei di regali, e non lo so se è perchè voglio bene solo a sei persone, non credo. Ma per quelle sei persone ci ho messo tutto il cuore possibile. Senza formalismi, senza convenzioni, senza costrizioni, senza la sensazione di stare in riserva di ossigeno, senza l'impressione di stare in una stanza che brucia priva pure dell'uscita di sicurezza.
Quindi caro Babbino, io da te non voglio niente, soprattutto perchè il tuo regalo mi è già arrivato tre mesi fa, anche se forse non te ne ricordi. Il tuo regalo l'ho scartato a settembre e porta un nome che se lo articoli sulle labbra nasce una melodia perfetta, che non te la scordi più: VolAlto.
Insomma Babbo Natà, che t'aggia ricere...* (che ti devo dire...)
Io il ferryboat che luntano ce porta e nun ce fa penzà lo aspetto sempre, ancora e sempre.
Ma senza fretta, adesso.
In fondo "ognuno di noi è come un bastoncino d'incenso: ogni giorno si accende e poi si spegne.
Però mentre brucia è una cosa meravigliosa."


venerdì 19 dicembre 2008

Mane e mane (int 'a stu fridd che fà)

Stasera ancora Yann Tiersen a scivolarmi dentro le orecchie. Ma senza che il bisogno di essere altrove sia irresistibile, stavolta.
E' tornata Lilo da Pisa. /E' quasi Natale. /Oggi papà ha sorriso tre volte.
E vivere è questo, alla fine è tutto qui.
Chi nun cunosce 'o scuro nun po' capì 'a luce.
Ho imparato a godere così tanto delle piccolezze che se riuscissi a ricordarmi la combinazione per il resto dei miei giorni, allora chissenefotterebbe della felicità. Non sono soddisfatta nè al culmine della gioia di vivere. Ma mi sento respirare, e mi piace.
C'è vita se decido di rimanere viva.
C'è vita in una passeggiata nel gelo e nell'uggia stazionaria pomiglianese accanto a mia sorella, mentre ridiamo delle babbee Natale. C'è vita in Marialaura e PePPe la PaPoscia che mi chiamano e mi dicono aspetta-stai-ferma-non-ti-muovere-ti-raggiungiamo. C'è vita nel momento in cui appare un Vincenzo Passariello in dimensioni smisurate e in quella faccia da guappo ci ritrovo tutte le mensili di anni indelebili, e vagoni di risate fragorose dei tempi in cui la Comunità era il mio eden. C'è vita in quel piccolino di Gianmarco che se potessi me lo sposerei adesso-ora-mò-mò, e non solo per l'husky di peluche che mi ha comprato alla fiera missionaria, -assicurando qualcosa che somigli alla bozza di un sorriso per i bambini Messicani- ma per l'amore che ci mette quando mi abbraccia, quando mi cerca. E non me ne frega proprio niente dei diciassetteanniquasidiciotto, io ti sposo lo stesso.
C'è vita attorno, dentro, se apro le orecchie, se decido di lasciarmi attraversare.
Fa male. Fa bene. A volte raggela il sangue nelle vene. A volte lo scioglie. A volte prende a stringere il collo in un modo che penso adesso si può solo scappare, torre-di-controllo-aiuto-sto-finendo-l'aria-dentro-al-serbatoio. Altre volte mi lega le caviglie e mi convince a restare.
Ad ogni modo -e questo rimane tra me e te, te lo giuro- devo dire due cose a quell'uomo che fa finta di dormire, a tre passi dalla mia stanza: è andata bene, papà. E' andata meglio di come ti aspettassi.
Ti ho perdonato, papà. In vent' anni non ce l'ho mai fatta, innanzitutto perchè non ho mai voluto provarci. Invece poi.
Invece poi ci ho messo appena quattro set per perdonarti, il tempo di un'amichevole a Castellammare, ieri sera. Non riuscivo ad esserci con le altre, perchè c'eri tu nella mia testa mentre Michela mi diceva forza Bobbe, adesso proviamo palla due. Pensavo a come ti saresti sentito oggi per questo benedetto compleanno, che quando si sta così, io lo so, il compleanno è già un motivo troppo serio per avere voglia di buttarsi sotto al primo treno. E comunque che ne sapevo io se ti avrebbe portato qualcosa di buono.
A me ha portato la sicurezza di averti perdonato. Mi ha portato la tenerezza per un uomo di cinquantasei anni che non ha mai conosciuto tenerezza.
Siamo figli dello stesso temporale ma io non sono come te, papà. E posso dirlo forte ad alta voce ma senza boria, senza la rancorosa e meschina vanagloria di disdegnarti. Non ho paura di un abbraccio. Non ho paura di dire che amo.
E presto anche tu non avrai più paura.
Buon compleanno orsacchiò, da qualche minuto è passato ma ancora e sempre
Buon Compleanno.


'na stella guard'o munnoe dint'o munno se perde
e chi è tempesta 'e nottemare addiventa
e l'acqua 'nfonn' 'e pann'e arrugginisc' 'e cannune
neve d' 'o deserto sabbia d' 'o vesuvio
mane e mane
int' 'a stu fridd' che fa'
o viento ca vene'o viento ca va
mane e mane
sott' a 'nu cielo zulù
'o vient pe' sempe'o vient mai 'cchiù
béka lonbéka lon koo moloulé dèlakambolo di gnogomabéka lonbéka lon koo moloulé dèlakahakilike keléndi keléndie
chi nun cunusce 'o scuronun po' capì 'a luce
nisciuno sape 'a n'ato
ognuno è sulo
'na stella guard'o munno
e dint'o munno se move
e chi è erba argento
ghiaccio s' arretrova
e ll'acqua 'nfonn' 'e nave
arrugginisce 'e catene
'e valig' c'o' spavo
'e paure d'aier
konko yè moloukancbèlèya ye moloukankèlè mabori lèno wokèlayankaro yé moloukantoroya yé moloukankèlè maborì lèno wokèlaalouye mirissa anyé farakèlema tougna
mane e mane
int' 'a stu friddo che fa
'o viento ca viene
'o viento ca va
mane e mane
sott' a 'nu cielo zulù
'o vient pe' sempe
'o vient mai 'cchiù
bèka lonbèka lon koo moloulè délakambolo di gnogomabéka lonbéka lon koo moloulè délakahakilike keléndi keléndi


[Mane e mane- Enzo Avitabile & Mori Kante]

mercoledì 17 dicembre 2008

Che poi, come si ride quando un pelo cade?

Concorsi a premi:

T. :"Uha Robè, lo sai, coi punti della Q8 ho preso la pietra LAICA!"



[Chiariamoci, mica mi sveglio per scrivere ste stronzate.
Non dormo, e c'amma fa'?!
Adda passà 'a nuttata.]

martedì 16 dicembre 2008

Raid aereo sul paese delle farfalle

VORREI ESSERE LONTANA A VOLTE, COME SE ESISTESSERO LUOGHI IN CUI ALLA MENTE NON ARRIVANO TIMORI DI CONOSCERE TROPPO E DI NON SAPERE NULLA.

domenica 14 dicembre 2008

Si tu n'étais pas là

E' tempo di cullare i dolori metafisici, stasera.
Mi arrampico allo scaffale della libreria nella stanza di Vincenzo, allungo la mano destra verso il ripiano centrale, poi faccio scivolare la punta delle dita tra il porta cd. E comincio a cercare forsennatamente, come chi crede che per salvarsi sia necessario trovare quella determinata cosa e con la presunzione di chi crede che ci sia ancora un modo per salvarsi.
Lo trovo: le musiche de Il favoloso mondo di Amélie, Yann Tiersen. Preparo l'anima ad accogliere l'esperienza dell'estasi.
Soffio sulla facciata della custodia del cd per scansarne la polvere e poi, scrupolosa e delicata, mi faccio aiutare dall'indice della mia mano destra. Bisogna essere delicati con le cose delicate.
Non ricordo il giorno preciso in cui ho messo da parte questo cd, però ricordo di averlo fatto volutamente. Senza delicatezza, affatto. Al contrario, con l'ardore di chi crede che per salvarsi sia necessario fare quella determinata cosa e con la presunzione di chi crede che sia possibile smantellare i ricordi deponendone un oggetto rappresentativo. Ad esempio un disco.
Torno nella mia stanza, mi lascio dietro la porta, papà, mamma, la partita di oggi pomeriggio. Mi lascio dietro il mondo di tutti per restare da sola nel mio.
Les jours tristes, la valse d'Amélie, l'apres midi, la noyee, pas si simple...
Il disco procede ed io mi accorgo che ancora riesce a sfamare, in maniera soddisfacente, il mio bisogno di alienazione.
Play, i piedi si sollevano. Play, se abbasso gli occhi scorgo lontane le nuvole.
Play, qui non c'è spazio.
Play, io sono altrove.


"L'angoscia del tempo che passa ci fa parlare del tempo che fa."

(dal film Il favoloso mondo di Amélie)

sabato 13 dicembre 2008

La verità del mondo è nelle mani dei filosofi

Esilarante gag al panificio Cetro.
Entra il professore F.E., mio insegnante di filo(e cucito)sofia e storia al liceo.

Io :"Eee professore, come state?"

F.E. :"We Robertì bene bene, e sai pucchè? Pucchè mo che stong in pensione almeno nun agg a cche ffà cu 'a Cimmino!"

giovedì 11 dicembre 2008

Gigione sei tu il mio pastore (quanto sono tragicomica)

La cattiva fama della Gelmini e i cortei nel cuore di Napoli sembrano già essersi dissolti.
Hanno saputo acquietarci anche questa volta, come sempre. Mi faccio i complimenti, brava Robertì.
La cosa più grave è che non riesco a sentirmi in colpa.
Se i contesti importanti smettono di essere importanti quando la televisione non li ospita più, non posso farci niente. Se i contesti importanti sono esclusivamente quelli trainabili nei salotti televisivi, se le parole importanti se le rubano gli opinionisti che discutono un po' di tutto, non può essere solo colpa mia.
Tecnicamente ne sono responsabile, e sono d'accordo. C'è in gioco la mia vita, non l'aria fritta. E se lascio andare, se mi lascio andare, sono responsabile delle conseguenze che ne derivano.
Il punto è che mi sento responsabile anche della felicità altrui, e della mia famiglia nello specifico. E quando le famiglie sono come la mia famiglia è meglio lasciar perdere la propria vita e pensare a come rendere vivibile quella degli altri componenti del nido.
E' più faticoso di un lavoro, e sono sicura che chiunque altro al mio posto vorrebbe barattare ogni sua singola giornata con otto ore in miniera. Ci metto tutte e due le mani sul fuoco, poi le scanso che non sia mai mi scotto.
A fine giornata infilo le mani nelle tasche dei pantaloni per provare l'incasso della giornata. Il discorso per voi si fa interessante, ma lasciate perdere che tanto non parlo di soldi.
Un pezzettino di felicità non ce lo trovo mai. E se ce lo trovassi ed io fossi Re Mida, non oserei nemmeno sfiorarlo per trasformarlo in oro.
Credetemi, la pace interiore vale bene il deposito di zio Paperone. Miss Paperett e Battista -sottopagati- inclusi nel prezzo.
Ma la vita è un po' più forte del mio dirle "grazie no".
La ruota girerà, nell'archivio dei messaggi ricevuti ne ho almeno cento che me lo recitano, e poi con lui in sottofondo che me lo canta allora voglio crederci.
Tutta questa sofferenza mi ha sfinito, preferivo il tempo in cui soffrivo solamente per me. Era più facile, era gestibile quantomeno. Ed era dolce, a suo modo.
Invece no, questa è sofferenza pura. Ed ogni ora è una lotta pura. Una lotta per resistere, per continuare.

Non pensavo che esistesse davvero la possibilità di vivere alla giornata. Mi è sempre sembrato un modo di pensare troppo folkloristico, per non dire bucolico.
Invece no, nemmeno questo: esiste davvero la possibilità di vivere alla giornata.
Si vive alla giornata nel senso che non si sa come sarà quella giornata che viene, quindi non si osa fare programmi nè sperare che sarà meglio, e la sera nel letto non ci sono emozioni a cui tenere le mani sotto al cuscino, non ci sono resoconti da fare a mente, non ci sono messaggini dolci da mandare -figuriamoci da ricevere-. Non c'è niente, proprio niente a parte la stanchezza e la noia di sapere che tanto domani sarà uguale, e lo sarà sicuramente, retorica vade retro!
Non fa bene e non fa male, ed è inevitabile. Vivere è questione di adattamento, di abitudine, di stare al passo, di scandire il ritmo. Una volta che l'organismo si è abituato al fuso orario il gioco è fatto, o no? Ecco, è proprio così, uguale e spiccicato.

Alla sofferenza si accompagna l'assuefazione. Ci sono le oscillazioni a rendere la giostra a volte un po' più esaltante, a volte un po' più pericolosa. E' quando si riesce a mantenere l'equilibrio anche durante gli scossoni che si entra in graduatoria per il concorso di miglior abulico dell'anno.
Per quanto mi riguarda mi emoziono solo guardando i concerti di Gigione e Donatello su Tele A, nemmeno più Gennaro d'Auria mi aiuta a sopravvivere. E' un'esperienza mistica non indifferente.
Questo è per farvi rendere conto della gravità della situazione.
Gigione sei tu il mio pastore.

Ti piace ti piace ti piace il gelatino

al gusto di panna con crema e cioccolata
ti piace ti piace ti piace il gelatino

però la fragolina la devi dare a me


N.b. nessuno può ignorare la fama dell'illustre cantautore su citato. Per risalire alla sua identità basti pensare all'eccelsa "o ballo ro cavallo" allegramente riadattata sulle note di "catalì cammello" (sacro e profano in un simpatico remix). La canzone di cui sopra è stata al primo posto nella hit parade dell'estate 2008, spopolando tra i lidi della settentrionalissima Santa Maria del Cedro.

giovedì 4 dicembre 2008

Quebrar a cabeça

Assieme alla pizza, stasera, devo aver ingoiato anche un attacco dell'apparecchio. Se considero che nel piatto non l'ho trovato, nel bicchiere di coca semi-vuoto manco, nel tovagliolo già sporco e sgualcito nemmeno...
Da grande matematica e razionalista quale sono, siccome due + due fa quattro e siccome non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace e sotto la panca la capra campa, allora mi sa che mi è proprio scivolato giù per l'esofago assieme alla pizza che sapeva di calzino usato. Però non ho chiesto conferma al gabinetto, quindi non posso dirvi di preciso.
Ma comunque, detto questo...

E' il tre dicembre. Anzi, è già il quattro, ed io sono appena tornata da quel di Gricignano, dove abbiamo giocato l'anticipo dell'ottava di campionato.
Tre a uno per noi, con altri tre punti in saccoccia, e la scalata in cima alla classifica che continua. Partita al cardiopalma, vinta per il rotto della cuffia. Succede quando la testa ce la scordiamo a casa, eh? Però va bene così, forse la pizza non ce la meritavamo (io a maggior ragione che nemmeno avrei potuto) ma bisognava festeggiare.
E' dicembre, e a dicembre si festeggia sempre, qualsiasi giorno è quello giusto, tanto i babbi natale stavano già appesi ai balconi quando io ancora giravo con le maglie a mezze maniche.
E poi festeggiare è necessario. Sì, proprio ci vuole. E se i motivi non ci sono perchè il cuore è ancora ghiacciato e la testa si posa sempre sugli stessi pensieri, allora ce li inventiamo.
Sto diventando grande e me ne accorgo, me lo sento addosso e nei giorni che arrivano carichi di responsabilità, carichi di dubbi, di nottate che non mi sembra possano passare.

Sto diventando grande perchè la vita me lo chiede, e se posso rispondere in modo quasi adeguato è grazie a chi mi sta aiutando a trovare in una palla sette al centro venuta bene, in una fast finalmente pulita e in un muro chiuso in faccia all'avversario la forza per continuare a giocare questa partita.
Buonanotte scrondi, questa notte è per noi.
Quebrar a cabeça!
Bobbe#21

N.b. Se qualcuna di voi ha ritrovato il mio attacco può mettere un annuncio su Fieracittà o riportarmelo direttamente domani in palestra, grazie!

venerdì 28 novembre 2008

Senti che fuori piove, senti che bel rumore

Lentamente divento più leggera, nemmeno tanto lentamente a dire il vero, e scopro che quella felicità che credevo dovesse derivarne, essere una diretta conseguenza, tarda a venire. In parole povere, mi rendo conto che non me ne frega niente. Adesso, eh, intendiamoci. Non penso che sia stata un'illusione tutto quel dolore, e questo è il secondo Natale che arriva e c'è ancora Maurizio. Ci penso e ho compassione di me stessa, sì, compassione. Ho imparato le parole che non riuscivo a far entrare nel mio vocabolario.
C o m p a s s i o n e: non c'è proprio niente di indegno se riesco a provarne per me stessa, se posso essere più indulgente e benevola.
Sono settimane che piove, piove di una pioggia neppure troppo quieta. E per me va bene.
Amo la pioggia, non l'ho mai negato. La amo con i suoi odori, i suoi colori e i miei umori. E' così dolcemente struggente, dilaniante, scende dal cielo come un modo per sentirmi veramente parte di questo progetto, per sentirmi meno fuori, meno dissonante, meno inadatta.
A settembre quando alle sei del pomeriggio il cielo era ancora chiaro, andando a fare allenamento è capitato spesso che sulla Caserta-Roma piovesse e, contemporaneamente, ci fosse l'arcobaleno. Per una settimana intera è stato così: ogni giorno veniva a dirmi che in fondo passerà, un giorno.
Non sappiamo ancora quando, ma probabilmente vorrà passare.

Papà ancora non si è tirato giù dal letto, non collabora, però se guardo ad agosto e poi guardo ad oggi mi dico che col passare dei mesi è passato anche il peggio. E' come se pian piano la strada si appiattisse e non c'è motivo per cui io possa dire "è inesorabile".
Capite, va meglio rispetto ad una vita intera passata tra il silenzio e gli sbagli nascosti, figli di un disturbo bastardo che ancora ci prova a mangiarselo vivo, ma che noi allontaniamo. Con la chimica, per forza. Ma con l'amore innanzitutto.
E ad ogni modo, penso che in fondo sia stato meglio così. E' stato un crollo, e ogni crollo è il presupposto di una sana ricostruzione.
Adesso va meglio, quantomeno papà tira fuori quello che sente.

E' quando non si riesce a tirarlo fuori, che c'è da aver paura. Allora le emozioni si accumulano dentro il corpo e si induriscono. E quando molte emozioni si sono indurite muoiono dentro il nostro corpo. Quando questo succede, c'è poco da scherzare.
Ad agosto ero disperata, mi sentivo la vittima di una sequenza beffarda di eventi al cui cospetto non potevo nulla. Disarmata, disorientata. E poi il pensiero di dover affrontare un altro lungo calvario, anche se non ne sarei stata io la protagonista.
Adesso, invece, si è innestato un meccanismo che mi consente di andare avanti bene o male, andare avanti tra rinunce che dico che "tanto non mi fanno soffrire" e dubbi che poi sembrano insolubili.

Non dobbiamo avere fretta, anche se sembra impossibile.
Non avere fretta. Anche se la situazione diventa tanto aggrovigliata da sembrare incontrollabile, farsi prendere dalla disperazione o dall'impazienza e forzare le cose sarebbe un grave errore. Bisogna sciogliere tutti quei nodi ad uno ad uno, piano piano, prendendo tutto il tempo che ci vuole.
Andiamo avanti, e ogni giorno che passa è una battaglia vinta in nome della conquista della normalità. Ogni giorno che viene è un giorno che si abbatte su questa stanza violentemente, e il suo sconquasso ci dice che è un giorno da capire, che ha portato di nuovo con sè cose importanti.
Nella burrasca abbiamo scoperto quanto possiamo essere forti noi cinque da soli, papà incluso (anche se in quello stato). Abbiamo scoperto la dolcezza di un momento davanti al televisore, perchè di spazi vuoti non ce ne sono mai, e quando arrivano fanno da palliativo. Abbiamo scoperto che squadra forte che siamo, tecnicamente e tatticamente.

L'ultimo pensiero di questa mattinata uggiosa è per mia nonna, che continua la degenza a casa di mia zia. Mi manchi, Nanni.


N.b. A proposito di squadra, inutile dirlo, ma il mio porto sicuro è a Caserta, nella palestra della scuola media Vanvitelli di Centurano.

VOLALTO, SEI TU LA MIA FORZA!

sabato 22 novembre 2008

Annozero del 20/11/08

Barbareschi, non c'è che dire, sei più simpatico come ospite di Scherzi A Parte!













N.b. Erasmo for president!

lunedì 17 novembre 2008

Come on, passerà

Mi aiuterà il solletico, spero faccia ridere.
Mi sentirò un po' stupida, ma se serve a smettere...
COME ON, COME ON, COME ON PASSERà!

[Scusa se non piango- Negramaro]



Dopodomani ci saranno loro al Palamaggiò. Ma io sarò in palestra ad allenarmi, nemmeno troppo distante, perchè una sola cosa mi è rimasta, la pallavolo. E non posso privarmene. Nessuno può togliermi l'ultimo motivo per riuscire a guardare oltre le nuvole.Per la seconda volta non potrò esserci. E' un desiderio da niente, lo so, però mi fa male non poterlo assecondare.

Mi farò bastare il ricordo del 13 luglio dell'anno scorso, il ricordo di un'infiammata Arena Flegrea.

Ho imparato a desiderare cose minuscole, e forse è meglio così.
Come on, passerà.

venerdì 14 novembre 2008

Dentro gli occhi

Noi ci ritroveremo ancora insieme davanti a una finestra ma molte molte lune in là e poche stelle in meno, e forse sarai stanco per la corsa del topo, probabilmente vecchio per inventare un nuovo gioco. Dimmi come t'inganni e quando avrò i tuoi anni? Lei ci avrà già lasciato in fondo a qualche data, probabilmente a maggio, ma lei per te sarà meno di un'ombra, l'ombra di un altro viaggio, perchè i ricordi cambiano come cambia la pelle e tu ne avrai di nuovi e luminosi come le stelle. E comunque vada guardami dentro gli occhi, gli occhi ch'eran bambini, guardami dentro gli occhi. E non verranno i briganti a derubarti di notte perchè tutti i briganti prenderanno le botte.E non verranno i pirati perchè tutti i pirati andranno in fondo al mare. E non verranno i piemontesi ad assalire Gaeta con le loro land rover, con le loro toyota. E se verranno gli indiani con i lunghi coltelli noi daremo le botte, le botte anche a quelli. E adesso chiudi i tuoi occhi, chiudi gli occhi che ho sonno, son vent'anni che guardo e che non dormo. E i nostri figli se ne andranno per il mondo come fogli di carta sopra lunghi stivali silenziosi e li avremo già persi, ed una incontrerà tutti quelli che io sono già stato e ci farà l'amore come in un sogno disperato, scriverà sui cerini parole da bambini. E le parole invece tu le mischierai tutte dentro un cappello, alla tua età scrivere una canzone non sarà più che quello. E non so che farai, chi vedrai, se crederai a qualcuno, se ci sarà una donna con te o forse - meglio - nessuno, ma comunque vada guardami dentro gli occhi, gli occhi ch'eran bambini, guardami dentro gli occhi. E non verranno i briganti a derubarti di notte perchè tutti i briganti prenderanno le botte.E non verranno i pirati perchè tutti i pirati andranno in fondo al mare. E non verranno i piemontesi ad assalire Gaeta con le loro land rover, con le loro toyota. E se verranno gli indiani con i lunghi coltelli noi daremo le botte, le botte anche a quelli.
E adesso chiudi i tuoi occhi, chiudi gli occhi che ho sonno, son vent'anni che guardo e che non dormo.


[Roberto Vecchioni]


venerdì 7 novembre 2008

'A vita è 'na tarantella...

...e io nun sacc' abballà.

martedì 4 novembre 2008

Tu dimmi quando questa guerra finirà

Si straccia il mondo intorno a me.
La mia vita continua a sgretolarsi, i pezzi del crollo cadono addosso e fanno male, arrivano al cuore come scariche violente ed è violento non sapere quando questa guerra finirà.
Cadono domande, fiotti di domande scorrono in testa, prendono vita sulla bocca. Sono le risposte, che mancano.
Sabato sera torno da Caserta contenta di aver trovato uno spazio per me e dispiaciuta soltanto per la terza di campionato persa 3-1 contro il Jambo. Un po' di amarezza ma tanta voglia di guardare avanti.
Dicevo, torno a casa contenta, sarei dovuta uscire con mia sorella e quattro quinti di casa Curion più altra gente comunitaria, più Bernardina.
Arrivo a casa, apro la porta d'ingresso e mio fratello mi dice che nonna è stata portata in ospedale.
Ritornando alla storia delle cose che, mò ci vuole, ti passano dentro come un treno senza stazione, ho provato a ripetere a mente quello che avevo sentito e che non riuscivo a realizzare. Sempre, in questi casi, è come se la mia testa non accogliesse subito la notizia ascoltata. Come si vede nei film dove gli attori recitano la parte di quelli che apprendono una cosa strabiliante/stravolgente/allucinante e vedi che cadono in una trance che può durare fino a due minuti di film. L'unica cosa che sono riuscita a pensare in quel momento è che si trattasse di uno scherzo. Invece no, piove sul bagnato. Vuol piovere sul bagnato e così sia.
Mia nonna ha 84 anni. Nella mia testa e nel mio cuore da sempre ai primi posti. Purtroppo da tre settimane non è più a casa con noi: sta momentaneamente da mia zia, "in attesa che mio padre guarisca". Era diventato impossibile badare a tutti e due. E' vero, noi Cetro siamo scapestrati, siamo una famiglia sgarrupata, e il mulino bianco non ci ingaggerebbe mai e poi mai per uno spot. Però ci vogliamo bene. Siamo sinceri e solidali tra di noi. Parlo di noi sei (includo la nonna, per me è una di noi) ovviamente, perchè i miei cinque sono la mia famiglia (tutto il resto è noia. Zii, cugini: se prima non ci credevo, adesso provo ripugnanza).
Ci vogliamo bene, siamo una bella squadra. Non me la ricordo più l'ultima volta che siamo stati sereni, e se devo essere sincera è proprio questo che manca. Forse SOLAMENTE questo.Data la sequenza di fatti assurdi, tanto quanto dolorosi, che ha deciso di manifestarsi dentro queste quattro mura da un po' di anni, non me lo chiedo più cosa sia la felicità. Nel senso che non mi importa più tanto saperlo. La felicità non esiste e se esiste è un istante, e quell'istante, quando non si concretizza, resta una chimera. Bisogna smettere di credere di poterla acchiappare. Anzi, bisognerebbe proprio smettere di rincorrerla, questa benedetta felicità. Io non sono felice, e soprattutto perchè comincio a pensare di non aver avuto ancora occasione di sperimentarlo quell'istante. Ci sono stati alti e bassi, questo sì. Ma la felicità, già per il rumore che fa quando la articoli sulle labbra, deve essere proprio qualcosa di immenso.
Ho sperimentato l'assenza di dolore. Non ricordo più l'ultima volta, però sarei bugiarda se dicessi che questa vita è stata un travaglio continuo. Cioè, ci sono stati attimi di serenità, il punto è che me ne accorgo solo adesso, pensandoci. Attimi di normalità che se venisse adesso chinerei il capo e non oserei chiedere nient'altro.

Nonna al momento è ricoverata all'ospedale di Pollena Trocchia, purtroppo.
L'aritmia cardiaca le ha tolto il respiro un' altra volta, la fibrillazione ha stoppato il transito del sangue verso il cervello. E 84 anni non sono uno scherzo.
Ieri ho fatto la nottata accanto a lei, anche per evitare altri discorsi beceri e infimi riguardo il chi ha fatto di più e il chi ha fatto di meno, anche se i processati non siamo noi cinque che "per carità vi siete sempre fatti il culo, ci mancherebbe". Tutto quello che abbiamo fatto noi cinque -e parlo di NOI CINQUE- per lei non siamo mai andati a gridarlo ai quattro venti sperando che dal cielo cadesse una giusta ricompensa o che il pubblico ci applaudisse. E non siamo disposti a barattarlo per un po' della vostra benevolenza, sia chiaro.
Dall'ultima volta che ho visto nonna in uno squallido letto dell'Apicella sono passati nove anni. Dall'ultima volta che l'ho vista in un letto d'ospedale e basta, ne sono passati due. Pensavo che potesse bastare ma evidentemente mi sbagliavo.
Mi ricordo di uno scritto bellissimo che avevo partorito due anni fa, quando lei è stata operata al cervello a Benevento e contemporaneamente il mio cervello, entrato in stand by, si è chiuso a chiave in questa stanza. Purtroppo quello scritto l'ho perso perchè bloggers se l'è mangiato e non lo riavrò mai più indietro. Quando penso a mia nonna le parole arrivano dolci, sempre.
Mi ricordo l'elegia di Mimnermo che da sola nella mia stanza avevo letto per lei ad alta voce, e la gioia di poterne dimenticare le parole, non dover pensare più a quella sofferenza, nel momento del suo ritorno a casa. La nottata in ospedale è stata terribile (non per me, è chiaro, per ognuno dei miei cinque potrei fermare il mondo).
La puzza della stanza 7 di ortopedia è terribile. Sono terribili gli infermieri che litigando, nei corridoi, arrivano alle mani. Sono terribili gli armadietti arrugginiti e i letti con la manovella rotta. Terribile il modo in cui gli infermieri approcciano ai malati: sembra un rito da catena di montaggio, stessi gesti, stesse parole, stesso impassibile e sterile modo di fare.
Mi risuona ancora nelle orecchie la voce del vecchio che sta in ortopedia 8 e che per tutta la notte tra domenica e lunedì non ha fatto altro che gridare aiuto. Mia nonna dormiva, il suo respiro era ancora affannato però dormiva. E in ogni caso c'ero io con lei. Il vecchio di ortopedia 8 invece era da solo. Niente nipotina a tenergli la mano, a fargli inghiottire la pillolina, a dargli da bere eccetera. Solo, completamente solo, cercava aiuto. Ma la sua voce è rimasta inascoltata: ho girato l'ospedale in lungo e largo per far sì che un infermiere gli prestasse soccorso, ma in giro non c'era nessuno. E non è necessario che sia io a spiegare quanto sia grave lasciare i malati con problemi cardiaci nel reparto ortopedia -perchè in cardiologia non c'è posto- da SOLI. Completamente S O L I.
Mia nonna ha me, ha noi, ma il resto del mondo chi cazzo ha?
La ciliegina sulla torta ce l'ha messa l'infermiere che è venuto ieri mattina a farle il prelievo e che al mio "scusi, nonna ha di nuovo l'affanno", ha risposto "e c'amma fà, nun fa nient'!".Riferimenti al resto della "mia famiglia" (e qui entrano in ballo vari zii, cugini eccetera) non voglio farne. I loro comportamenti sono fin troppo eloquenti, le mie parole sarebbero inutili. Mi importa esclusivamente di Nanninella che, ricordatevelo, è STATA SEMPRE CON NOI.
Risparmiatemi le vostre luride questioni.
Non adesso, occhei, ma ricordatevi che vi farete vecchi pure voi, come dice sempre la nonna. E quando diventerete vecchi, tanto vecchi da stanza di ospedale, io vi auguro di non avere nessuno al vostro capezzale.

sabato 1 novembre 2008

A Maria Rosaria

Senza presunzione, penso che abbiamo fatto parte del gruppo Giovanissimi più forte che la Comunità abbia mai avuto.
Adesso vengo a sapere che un camion ti ha trascinata direttamente al coma farmacologico, e ci resto di sasso.
Certe cose le puoi pure ripetere ad alta voce, ma è come se non le potessi assimilare veramente, anzi, più le elabori più non riesci a capacitartene.
Mi allontano dalla Comunità e questa lontananza mi si ritorce contro in troppi modi.
Lentiggine, stasera diventi protagonista delle preghiere che non ho più il coraggio, l'umiltà e la fiducia di fare. E' troppo presto per salutarci, perciò combatti. Ed escine vincitrice, possibilmente.
Imboccherei Rione Trieste adesso, se sapessi di poterti ritrovare in piedi, completamente viva.
Forza Maria Rosaria.

giovedì 30 ottobre 2008

E anche se ora voi ve ne fregate...

Adesso spiegatemi con quale coraggio vi siete detti "non sta succedendo niente".
Ieri c'ero anch'io, ero in primissima fila dietro il primo striscione.
Io, la pecora nera che frequenta la parastatale Suor Orsola Benincasa.
Io, il futuro maestro unico o prevalente del cazzo.
Io che ho vent'anni, venti, e che rivoglio indietro il mio futuro. Io che non permetterò a nessuno di decidere per me. Io, col difetto di essere idealista.
C'ero nella folla che presidiava il cortile della sede della Federico II, a corso Umberto, ieri mattina.C'ero nel corteo, davanti a tutti. C'ero a piazza Plebiscito.
C'ero per comunicare una cosa molto importante a chi ci voleva contare dall'alto per riportarci come un numero troppo grande o troppo piccolo, a chi sapendo di noi abbozzerà qualche sorrisino sarcastico: IO LA CRISI NON LA PAGO.
Faccio resistenza, e non permettetevi di dirmi che "tra qualche anno me ne fotterò perchè le cose non cambieranno mai e allora capirò che bisogna fottersene". No, questo non ve lo concedo. Faccio resistenza in tanti modi e il corteo era solo una testimonianza della mia presenza che si afferma come un NO.

Non me ne frega di Tremonti, Gelmini e Berlusconi. Moriranno pure loro, prima o poi. Prima di lottare contro queste merde, lotto PER me anzitutto. Lasciamo stare la ripugnanza che provo per i su citati. Ma capiamolo, ragazzi capiamolo che noi dobbiamo affermarci, in secondo luogo smontarli. Il nostro obiettivo resta la nostra vita, e su questa nessuno può metterci le mani. Poi quei nomi lì continueranno ad essere d'intralcio finchè ridurremo il problema ad una questione prettamente politica.
La questione è sociale. Ed è di vitale importanza, perciò non possiamo stancarci. Facciamogli capire che non ce ne frega niente dei loro giochetti, delle loro accuse, delle loro bugie. NOI NON CI CASCHIAMO.
Loris mi dice che apprezza tutto questo, mi apprezza. Ma dice pure Robè stai attenta, tu finchè ce la fai, fallo, io non ci credo più, e lo sai che sono il primo a cui prudono le palle. Ma bada bene che il vero ribelle è anzitutto il singolo. Tu ribellati, resisti, opponiti con tutte le tue forze, ma sappi che continuerai ad essere una sola tra i soli.Opponiti concretamente.

Ieri è mancata un po' di concretezza per risultare credibili. Parlo dei pochi soliti cretini che stavano là tanto per, che urlavano che non vogliono le tasse e poi li vedi col telefonino col televisore incorporato e compagnia bella.
Io ci credo in quello che sto facendo, la posta in gioco è troppo alta, non posso fregarmene. Di vita ne ho una sola, del resto.

Mi girano i coglioni quando sento le dichiarazioni di Berlusconi che dice che la sinistra "inganna e strumentalizza i giovani". Si attaccano a vicenda parlando di noi come se fossimo dei pupazzi. E la colpa è nostra, vaffanculo. La colpa è nostra che ci siamo fatti sedurre dalle cazzate che ci hanno propinato, dalle promesse mancate ai programmi di canale 5, dalla munnezza tolta (che beatamente giace sotto al tappeto), alle tasse ridotte. La colpa è di chi ad aprile si è astenuto o ha votato per il meno peggio. La colpa è di chi fa finta di niente. La colpa è di chi preferisce la televisione ad un libro. Siamo colpevoli, sempre in parte colpevoli. Perchè per essere colpevoli basta essere indifferenti, basta essere imparziali, basta essere incolori.Non dobbiamo consentirgli di trattarci così, nessuno può trattarci così.Non ci sto. Io non mi faccio strumentalizzare da nessuno, che sia chiaro. Non è necessaria una mente eccelsa per capire che quello che sta accadendo ci strappa dalle nostre posizioni: se io lotto è perchè metto in gioco tutto, anche la mia stessa posizione, per qualcosa che la trascende e la supera. E' perchè capisco fin troppo bene cosa sta succedendo, e quello che sta succedendo non mi piace.
Destra e sinistra per me rimangono due direzioni, in questo momento. Io scelgo per il mio futuro, sempre.
Grazie ai ragazzi che sostenevano lo striscione che richiamava la canzone del maggio.Perchè è questa l'unica verità:
PER QUANTO VOI VI CREDIATE ASSOLTI, SIETE PER SEMPRE COINVOLTI.


Verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte.

lunedì 27 ottobre 2008

Filosofia dell'educazione

Stamattina ho perso tempo in un modo imperdonabile.
Non posso farci molto, purtroppo, la stanchezza che mi porto dietro non riesco a smaltirla, così è capitato che proprio stamattina che c'erano un paio di cosette da risolvere (oltre al fatto di dover stare giù nel panificio assieme a mamma) sono rimasta a dormire fino a tardi.Mi sento in colpa, ovviamente. Ma è inutile, ovviamente.Tra le altre cose oggi -e precisamente a quest'ora- avrei dovuto partecipare all'assemblea all'Orientale, l’avevo pure detto ad Ilaria. Ma è che alle quattro c'ho Maurizio che, aggiunto agli altri doveri a cui avrei dovuto ottemperare, mi avrebbe impedito comunque di spostarmi o di rimanere a Napoli.Rimando a domani la mia visita all'Orientale, e anzi, Cristina mi ha detto di un'assemblea a Ingegneria a cui probabilmente potrò prendere parte per chiedere aiuto, per chiedere di portare un po' di consapevolezza a corso Vittorio Emanuele.
I suor orsolini si laureano beati, come se non li riguardasse quello che sta succedendo. Noi siamo in prima fila, siamo i primi ad essere mandati a fanculo, ce ne rendiamo conto oppure no?Sto scrivendo una mail al professore Gargano, mi chiedo quanto sia assennata come cosa. Sono due settimane che ci penso ma c'è sempre qualche frase da aggiustare, qualche parola da omettere. Eppure Gargano è uno occhei, basti pensare che l'esame di logica è stato sostituito nel piano di studi dal suo, filosofia dell'educazione.
A me non sembra una casualità.Filosofia dell'educazione comincia con Aristotele. L’uomo è animale razionale, l’uomo è animale politico.L’uomo è razionale ed è politico. Ma è animale, non ce lo scordiamo.Educare significa condurre fuori. Elevare l’animale dalla sua condizione infima ed ergerlo ad una condizione più nobile. Educarlo all’amore, educarlo alla vita, educarlo alla civiltà, educarlo alla consapevolezza, educarlo oltre che istruirlo. L’istruzione è un processo inverso. Istruire significa condurre dentro. Riempire i bambini come fossero sacchi vuoti, riempirli di roba indifferenziata e farli assopire nelle loro conoscenze nozionistiche.L’istruzione isolata conduce ad una condizione di totale incapacità di vivere. Come Pasolini che dice passa uno con la moto e fa una sgommata e in un minuto cancella 5 ore di lezione fatte a scuola dall’insegnante.D’altro canto il concetto di educazione è stato tergiversato.E poi dicono la confusione, i punti di riferimento che mancano.Chi l’ha creata questa confusione?Gargano è uno di quelli che non ci penserebbe su due volte e direbbe “ragazzi, alzate le chiappe che cominciamo a opporre un po’ di resistenza”, ma velatamente ci ha fatto capire che lui da solo non può, non può prendere l’iniziativa, poi stiamo al Suor Orsola Benincasa, non ce lo scordiamo.Ce lo ha dimostrato alla prima lezione del corso di cui sopra, dove il suo sdegno sussurrato suonava insolito in una parte di Napoli alienata, esente da cortei e manifestazioni, in una università alienata dove tutto funziona come da ordinaria amministrazione.
Non potete annuire, dire come se Gargano stesse svelando qualcosa di occulto, come se le cose che dice fossero nuove, mai sentite prima. Lo dovevate sapere, avevate il dovere di saperlo da molto prima e il diritto di opporvi.Non è un giro in giostra, cavolo, questa è crisi, questa è spaccatura, crepe nel futuro prima ancora che possiamo costruirlo. Ma dico, chi aspettiamo?Gargano come in tutte le sue eccellenti spiegazioni ci mette il sale, dice io vi devo provocare, non voglio fare politica ma ragazzi rendiamoci conto che l’ultima vera riforma scolastica è accaduta con quel cristiano che si chiamava Gentile e che conoscete solo grazie all’esame di pedagogia, sennò col cavolo che lo sapevate chi era Gentile. Mettiamo la parola “riforma” in bocca a una che sta lì nemmeno tanto per caso, purtroppo, ma perché NOI ABBIAMO SCELTO così. Dice attenzione ragazzi che tutto questo letame ve lo state buttando addosso da soli e vi sta asfissiando pure se non ve ne rendete conto, perché state tutti assuefatti con la testa nella televisione. Gargano non ha mai detto chiudete i libri e fate i sessantottini. Anche perchè, parliamoci chiaramente, sessantotto e duemilaotto fanno solamente rima, niente di più.Mi prende una smania assurda, penso che farei qualsiasi cosa pur di cambiare Paese e lasciarli tutti qui a morire sotto questa merda. Sto scrivendo una lettera a Napolitano, così, tanto perché ho bisogno di vomitare un po’ di sdegno in faccia a qualcuno. Non la leggerà mai, sono d’accordo pure io, ma se smettiamo di credere tanto vale smettere di lottare. Sono un'utopista, in mente intrattengo smodate conversazioni pure con Gesù Cristo, figuriamoci.La crisi c'è, dobbiamo renderci conto che c'è. E stare a casa con mammà non deve farci sentire in diritto di sentirci protetti.Le borse a un passo dal crollo, ogni giorno sul giornale la foto dell'economista con le mani in faccia. Poi viene Berlusconi e dice la scuola deve essere rinnovata, vogliamo più economisti, manager, vogliamo più tecnici. Certo, vuoi gente più istruita che assecondi le regole di questo mercato tornacontista, che fino a qualche tempo fa arricchiva almeno i già ricchi, ma adesso ci sta portando inesorabilmente verso la povertà, verso la guerra, verso una crisi insanabile.Vado a raffica lo so, ma è che mi rendo sempre più conto che il problema è nel problema. E’ proprio la logica che è malata, ci sono metastasi ovunque.Li vuoi tutti formati per fare i manager del cazzo, va bene. Così aumentiamo il degrado sociale, abbiamo più stronzi che capiscono di computer e che non sanno un cazzo della vita. Perché non ce la scordiamo la formazione umanistica. E quando dico vita non parlo di quotidianità, a quella ci pensano già troppo i mass media. Parlo di gestione, autonomia, saper vivere. Parlo di praticità, parlo di equilibri che non ci sono più, parlo di rispetto dei tempi e delle tappe.

I bambini di 8 anni adesso hanno il cellulare, quanti bulli nelle scuole, questo paese va a rotoli, ma com’è possibile questa mondezza, ma davvero esiste la camorra?
Ci spaventano le condizioni che noi stessi abbiamo posto, come se non riuscissimo a renderci conto che tutta questa merda la stiamo producendo NOI, automi inessenziali che passano i pomeriggi a guardare storie inventate alla tivvù. Siamo animali che ignorano l’ebbrezza che regala un concerto, un libro, un disco, una giornata in associazione, uno slogan urlato ad una manifestazione, un allenamento, un film al cinema, una serata a teatro.
Siamo talmente inumani che a vent’anni diciamo “sono vergine ma per un milione di euro la dò”. Questo lo dico così, giusto per farvi capire che l'emancipazione è solo una bella parola.
Noi non siamo formati, ma deformati, lontani anni luce dalla formazione.
E prima di dare la colpa al qualunquismo rendiamoci conto che questo è nato assieme a noi, con noi.

venerdì 24 ottobre 2008

Battista, la piuma!

Attenzione, vogliono salvare il mondo. Io ci sto, sono la prima, salviamolo.
Non sono nessuno, è chiaro. Sono il frutto delle mie esperienze, e chi sono non è un bene o un male, un vantaggio o meno. Sono io e amen. Sono una che dice salviamo il mondo ma risolviamoci un attimo nelle cose fondamentali, innanzitutto.
Illuminazioni da poetessa maledetta. Mi fa ridere ripeterlo in mente, mi fa ridere. Non per astio né per rancore né per niente. Perchè è passato un anno e l'astio non me lo faccio uscire ora così, perchè ho dato di testa improvvisamente. Ancora adesso non provo astio. Volevo capire, e ho capito. Però lo scambio di parti no, quello non è valido. Non avevo il diritto di dirti quelle cose perchè io non sono nessuno, perchè io sono come te, c'ho l'ego ipertrofico. Che se vogliamo dirla tutta, c'entra niente. Allora che fa, la contraddizione continua.
Io non avevo il diritto. Ma di fare che? Dico in base alle cose che dici, mica me le invento io le situazioni. Rispondo. Cerco di arrivare a far capire, perchè ho desiderio e diritto di capire.
Poi la vogliamo buttare sul vaffanculo addio sei solo qualcosa che non esiste, robe del genere. Mi va bene, lo so che quando è difficile dare spiegazioni (perchè non se ne hanno di plausibili) conviene mandare tutto a fanculo. Mica è la prima volta che lo sento. E mica mi fa paura. Mi dico lascia correre chè ci pensa il tempo, alla fine non sono quella che dice ma chi me l'ha fatto fare. Ho sentito, probabilmente ho confuso. Devo imparare a distinguere, questo sì. Ma per me c'era verità.
Nessun rimpianto, nessun rimorso, niente odio se arrivi a capirlo, niente di niente.

Stamattina in metropolitana sentivo alcuni dell'Orientale che dicevano dell'occupazione, dei poliziotti. Che dire, prepariamoci alla dittatura. Mio fratello dice oh però la guerra ai casalesi la stanno facendo. Guerra? Ai casalesi? Davvero?
Ci stanno invischiati, tutti collusi coi casalesi, che applaudiamo a fare. La camorra sono prima loro, fanno queste sceneggiate da due lire (e perdonatemi, ma ne ho abbastanza di teatrini) per farci distogliere lo sguardo. Come se noi potessimo perdere coscienza di quanto di grave sta succedendo.
Da me ancora zero assoluto, io mi sento come quella che deve spostare il masso di una tonnellata ma non ce la fa. E' che sono da sola, e il masso non lo potrò spostare mai da sola.Non so da dove cominciare. Tollerare di essere fraintesa, tollerare la superficialità e i limiti di chi pensa solo a sè e a quello che ha visto in televisione.
Lo ripeto, io non sono meglio. Anzi, vorrei saperla fare tanto facile pure io. Ma non ce la faccio, mi brucia sentire certi discorsi riciclati, inutili, spropositati.

A casa è il manicomio: niente punti di riferimento, nessun bacio prima di andare a dormire, nessun miglioramento.

Oppongo resistenza, le risorse cognitive arricchite vanno implementate. Sono l'unica arma che ho.
Dette queste altre quattro cose mi vado a preparare. Oggi amichevole col Santulli, serie B2.
Beata me che mi posso ancora emozionare.

PiEsse: comunque ipertrofia è un termine serioso, mettiamolo dove c'azzecca.
"Addio" è già molto meno serio.
Da poeta maledetto, diciamo.


"Tu m'hai fatto chest 'a mme, iss ha fatto chest 'a tte, e ce scurdamm 'o palo n'culo che tenimmo tutt' e tre!"

['E Zezi feat Zulù- 'O ballo re pezziente]

giovedì 23 ottobre 2008

Mentre tutto scorre

Parla in fretta e non pensar se quel che dici può far male, perchè mai io dovrei fingere di essere fragile, come tu mi vuoi?
(Vuoi) nasconderti in silenzi mille volte già concessi, tanto poi, tu lo sai, riuscirei sempre a convincermi che tutto scorre.
Usami, straziami, strappami l'anima, fai di me quel che vuoi, tanto non cambia l'idea che ormai ho di te, verde coniglio dalle mille facce buffe.
Dimmi ancora quanto pesa la tua maschera di cera, tanto poi, tu lo sai, si scioglierà come fosse neve al sol, mentre tutto scorre.
Sparami addosso, bersaglio mancato. Provaci ancora, è un campo minato quello che resta del nostro passato non rinnegarlo, è tempo sprecato. Macchie indelebili, coprirle è reato.Scagli la pietra chi è senza peccato. Scagli la pietra chi è senza peccato.
Scagliala tu perchè ho tutto sbagliato.

martedì 21 ottobre 2008

Sono come il fiume che scorre

Vengo come il fiume in piena e non ci sono dighe ad arginare il disastro, questa volta. Non ce ne possono essere più.
Tendenzialmente pacifica e lo sappiamo, lo sa bene chi mi conosce. Non mi piace litigare, non mi piace alzare la voce e quando la alzano con me o finisce che incasso e poi mi vado a nascondere per piangere, come i bambini dopo aver avuto uno schiaffone dalla loro mamma, o i nervi che si scatenano fanno rumore pure loro e perdo il controllo. Non mi capita quasi mai perchè provo a starci attenta, se manterrai la calma in un momento d'ira risparmierai cento giorni di dolore, dicono i cinesi. Così ci penso e il sangue amaro me lo faccio in silenzio, sempre.

Ieri sera mi sentivo il sangue pulsarmi alle tempie come non accadeva da tempo. Ho trattenuto le lacrime, che intendiamoci erano lacrime di stizza, ci sono riuscita fino ad otturarmi le orecchie e alla sensazione che la faccia potesse scoppiarmi e gli occhi uscire dalle orbite. Poi ho lasciato perdere perchè le parole erano troppe e non le sapevo dire tutte.
Questa volta, invece, le voglio dire.
Mi sono rotta le palle delle cose non dette: discorsi rimandati, quelli mai affrontati. Non sono l'ultima arrivata, capiamoci. Ho sbagliato io ad essere sempre accomodante, ma scusate se non funziono come le macchinine telecomandate e sono come il fiume che scorre, direbbe Coelho.
Sono come il fiume che scorre. Vado giù spontanea, che sono come sono, con il mio corpo e la mia testa. Ce l'ho con la mia generazione, e scusami Maurizio se sono troppo "selettiva". Ce l'ho con la mia generazione perchè mi sento la febbre di vivere addosso e non distinguo più se sono io la malata o loro. Non lo so più. Ce l'ho con i miei vent'anni di merda, ce l'ho col fatto di sembrare sempre sbagliata perchè non me la ricordo più l'ultima volta che ho parlato del ragazzo che fa girare la testa, di quegli stivali così belli da comprare subito e delle cazzate di cui vorrei saper parlare così bene come fanno gli altri.
Non sto giudicando, porca miseria, queste sono cose legittime, sono io che non c'ho dimistichezza! Non giudico, sto crepando di invidia perchè vorrei avere una testa più leggera. Un corpo non è stato possibile, leggero, ma una testa, datemi una testa più leggera.Mi rode questo stare fuori, io voglio stare dentro, voglio morire di cecità, non voglio guardarmi attorno.

Vorrei non dover tornare mai più nello studio di Beneduce e ricominciare a lavorare all'ennesimo fallimento. Vorrei non dover tornare a casa e trovarci mio fratello ammazzato di fatica che dice "che cazzo vuoi, tu te ne vai a fare allenamento e ti svaghi, io lavoro come il mulo quindi stai zitta", e sentire quel vuoto nella pancia che mi sembra di stare in caduta libera da 3000 metri di altezza, che sembra di non toccare mai terra e non sapere come sarà l'impatto. Di chi è la colpa, gli dico, vorrei fare più di quello che faccio, ma non è colpa mia se stiamo combinati così, se papà ci vuole fregare, si vuole fregare, io lo vorrei guarire, se solo sapessi come mi guarirei prima io.
Non ne posso più di situazioni intricate in cui non capisco la parte da recitare: dimmi la mia parte, te la faccio, ma porca miseria dimmela. Chi sono io, sono quella a cui mandi il messaggio in una sera di agosto quando non hai un cazzo da fare, il messaggio scemo che lascia lo scampolo di speranza e quell'alone misterioso che è rimasto un alone di becera banalità. E' un'idea insulsa dei rapporti, poi non venirmi a predicare le relazioni sane come se fossi il Messia. Dov'eri quando avevo bisogno di una parola, una parola che fosse una, qualsiasi, qualsiasi volevi, ma che fosse un cenno, un inizio di direzione, una spiegazione. Che poi me lo ricordo ancora ottobre di un anno fa, che mi chiedevi scusa da dietro al computer, "è che in fatto di maturità sei tredici passi avanti", ma vaffanculo, a che gioco vuoi giocare?
Odio tutta la banalità profusa per rendere insulso un rapporto. Confuso, faceva un casino smodato perchè non lo sapeva dire io con lei ci sto bene, sia quel che sia, sia come sia, la amo per com'è. E che c'è di male, chi cazzo ti giudicava per questo? Che poi i sotterfugi, l'assenza vomitata in faccia quelle volte in cui avevo bisogno solo di una parola, di una chiacchierata, telefonate a cui non ho mai avuto risposta. Non cercavo niente, non ho mai cercato, non ti ho mai tolto, non ho mai estorto un po' di benevolenza, sempre silenziosa a cercare il capo del gomitolo, rintuzzata nel mio angolino come le vecchiette che non hanno più niente da perdere, più niente da fare, più niente.
Vaffanculo, possiamo dircelo guardandoci in faccia adesso, ora, vaffanculo. Che sei il paradosso vivente, la contraddizione, che non credi nelle cose che dici, che le tue azioni non rispondono minimamente.
Brucio, bruciano gli occhi, brucia la bocca di sale stasera.
Sono incazzata perchè sono quella che rimarrebbe a invecchiare coi suoi libri e le sue canzoni se non fosse per la pallavolo e per quelle poche persone vere che costituiscono il perchè di questo stare ancora in piedi. Sono incazzata nera, perchè non me ne so fare niente dei discorsi appesi, campati in aria, delle promesse che rimangono debiti, di questo stare sempre in tensione a fare da baby sitter a mamma, a papà, a fratello, a sorella, a nonna. Non me ne faccio niente di mia cugina che dice tu sei la mia famiglia. E quando nonna stava nella 206 a Benevento col tumore attaccato in testa, tu dove cazzo stavi? Che ne sai che cosa significava? E ancor più adesso, che cazzo ne sai che significa stare attenti pure nel sonno, conciliare tutto in una giornata, mentre lui vuole appassire in un letto e lo becchi pure che su bromazepam e altre schifezze varie si concede il liquore?
Non ne posso più del qualunquismo, della lontananza, dei rapporti che sembrano mutui interminabili, che mi sembra di non avere mai i soldi per pagare.
Non sopporto più la televisione, l'università piena di qualunquisti, quella sciacquetta che stamattina viene e mi saluta come se c'avessi la peste, quando fino a qualche mese fa baci e sorrisini a profusione.

Non sopporto quel cretino che con la sua logica elementare si allontana e mi lascia nella merda solo perchè nella sua testa starmi vicino significa inciuciare con la sua compagna di merende sui fatti che mi stanno rendendo la vita impossibile, ma vaffanculo, tu e la tua lingua lunga.
E poi, vogliamo parlare di tutti gli stronzi che hanno fatto della Comunità un'agenzia matrimoniale, che si sanno scordare degli amici e si perdono da pivelli, possono perdere anche il migliore degli amici se vossignoria la mia fidanzata chiede così quindi scusa se non ti cago più. Mi fate schifo, schifo forte, non avete manco idea di cosa era la Comunità 4 o 5 anni fa, vi mettete pure a pregare!Il buonsenso di restare in silenzio, di non salire sul pulpito per lo meno, per carità!
Cambiate come cambia il vento, come chiede l'ego, come cambia il tempo, e poi dite che non siete omologati. Sono come il fiume che scorre.
E vaffanculo, sembra sempre che non ho detto.
Passo la mia lingua sul taglio nel palato.


Faccio come un uomo, gioco a fare il duro, monto con il lego uno scherzo di futuro, che il futuro è fuori garanzia: un bacio e via.

Vado come un uomo, sono complicato, passo la mia lingua sul taglio nel palato, non mi lascio stare a modo mio, a modo mio.
E poi vivere a orecchio senza ricette che qualcun altro ha prescritto, e poi starci un po' stretto ma vivere a orecchio.
E poi vivere a orecchio, metterci tutto e forse stonare di brutto, e poi senza biglietto vivere a orecchio.
Da dove ti viene il mal di mare?
Da dove ti viene una canzone?
Da dove ti viene il peggio di chi sei?
Chi sei?
Vado come un uomo, ci provo fino in fondo a stare come tutti in pari con il mondo.

venerdì 17 ottobre 2008

Vola vola 'sta palommaaaaa...

Ieri pomeriggio si è tenuta la conferenza di inizio stagione agonistica, con i giornalisti di alcune reti televisive casertane e con la partecipazione di alcuni esponenti del mondo politico della provincia di Caserta.
La società di cui faccio parte per questa stagione pallavolistica, Volalto, prende il suo nome in ossequio alle sue origini salesiane. Infatti nel corso di una manifestazione salesiana è stato il Rettor Maggiore Juan Vecchi, successore di Don Bosco, ad asserire che "quando si sta con i giovani non bisogna mai avere paura di volare alto".
E' una possibilità che qualche "grande" ci dà di riscattarci. Dimostriamogli che siamo in grado di modificare noi il sistema che ci vuole cambiare.
Un salesiano ci ha anche benedetto i completini, il che è indispensabile siccome tra poco più di ventiquattro ore comincia il campionato e già sono quattro le compagne che stanno recuperando da vari infortuni.
Sono emozionata per l'avvio di questa stagione, dopo tredici anni di percorso pallavolistico mi trovo in una realtà in cui non avrei mai creduto di potermi proiettare, nemmeno mentalmente.
A tale proposito vi informo che domani sera si giocherà l'anticipo (di norma si gioca il sabato, in serie C) della prima fuori casa, alle 20.30 contro l'Accademia volley Benevento.
A Nico, che mi ha chiesto come mai il 21, devo una risposta.
Il mio numero è il 21 per tre motivi, principalmente. E non c'entra niente il giorno del compleanno. Io al riconoscimento continuerò a rispondere "Roberta, ventuno" perchè:
1- 21 è il numero dell'articolo della costituzione che garantisce la libertà d'espressione.
2- 21 sono le lettere dell'alfabeto e le parole per me sono importanti, nella mia vita, quanto la pallavolo.
3- 21 perchè è importante saper essere prima degli ottimi numeri 2 per poter diventare dei buoni numeri 1.

La presentazione è stata emozionante.
Mi è parsa, invece, tutto un recito, tutto un finto, tutto un barzelletto per ridere, la consegna dei completini: hanno sbagliato a stampare le MIE (SOLAMENTE le mie) maglie e invece di Cetro, sul mio bel 21 hanno scritto CASTRO.
Da oggi in poi chiamatemi Fidel.


N.b. voglio fare un caro saluto con un abbraccio circolare e l'augurio di una pronta guarigione e un presto ritorno a casa alla signora che dopo avermi detto scusa ma tu l'ann passat nun stiv all'Ediltutto?, e alla quale ho risposto sì, ma sono in prestito per un anno a Caserta, che mi ha guardata esterrefatta e ha detto azz allora è over che v'accattano e ve venneno, provt comm 'e calciator!

lunedì 13 ottobre 2008

Gli effetti secondari dei sogni

Per fortuna ci sono gli scrittori con i loro libri e i cantanti con le loro canzoni che dicono tutto per me. Dicono per me tutto quello che, altrimenti, rimarrebbe eternamente inespresso.



Vi ho detto,
guardavo il mare,
ero nascosta fra le rocce
e guardavo il mare.

[Le Clézio – Lullaby]



Da quando sono nata, mi sono sempre sentita al di fuori, dovunque fossi, fuori dall’immagine, dalla conversazione, sfasata, come se fossi la sola a sentire rumori o parole che gli altri non percepiscono, e sorda alle parole che invece sembrano sentire, come se fossi fuori dalla cornice, dall’altra parte di una vetrata immensa e invisibile.
E’ capitato anche oggi pomeriggio a Volla, mentre con Erasmo e gli altri cercavamo di mettere insieme le parole giuste per far capire a chi ancora non lo sa che stiamo muovendo verso una rotta sbagliata, poichè tagli e istruzione non fanno rima, come non fanno rima maestro unico e formazione, come non può fare rima privatizzazione con università.
Io ero là, seduta in mezzo agli altri, con tutta la preoccupazione che mi circolava nel sangue. Perché il futuro è incerto e se lo dico mi vengono i brividi, e perché la felicità è solo un istante e compagnia bella.
C’ero e con me c’era la solita consapevolezza di non essere poi così vicina, così in mezzo, così dentro. Me la porto sempre addosso, mi muovo e vedo che non c’è niente da fare, sarò sempre così, non ci sono rimedi né antidoti. Più li guardo, gli altri, più vorrei essere come loro. Invidio la loro spensieratezza, le loro risate che non sono fanfarone come le mie che voglio stare al centro come se potessi dimenticare, stando al centro. Invidio tutte le loro storie, e se se le inventano allora tanto di cappello: sono sicura che possiedono qualcosa che io non ho.
A lungo ho cercato nel vocabolario una parola che esprimesse la facilità, la spensieratezza, la fiducia e tutto quanto, una parola che incollerei sul mio moleskine a caratteri cubitali, come un incantesimo. Ma non la trovo. E se ci sono vicina, capita che è il momento di tornare a casa. E tornare a casa mi basta per provare che un po’ di cabaret non basta a sentirsi vivi, pieni e non più soli. Non può bastare mai. Come se fossi l’attrice di una sequenza di scene che si sussegue drammaticamente. Ed è così, c’è drammaticità in ogni mio anno scomposto dai restanti altri, così che arrivano insieme a venti solamente per un’addizione. E non si può parlare in termini matematici di quello che manca: vent’anni non sono pochi, credetemi.
Il fatto di esprimere la quantità mediante un numero non è di per sé così evidente. La quantità dell’assenza, soprattutto. L’assenza di un oggetto o di un soggetto si esprime meglio con la frase “non c’è” (o “non c’è più”). Papà non c’è, ad esempio.
I numeri rimangono un’astrazione e non suggeriscono né l’assenza né il dolore.
Parlo così per provare a rendere l’idea, non vi sono richieste indirette di colmareperpiacereimieivuoti. Non voglio niente, alla fine, né mai ho voluto qualcosa per capriccio. Volevo che nulla ci distinguesse dalle altre famiglie, dove i genitori pronunciano più di quattro parole al giorno e i bambini non passano il tempo a farsi brutte domande.
La vita non è come un angelo che si alza e danza sulla punta dei piedi.
Non si scacciano le immagini, e ancora meno le crepe invisibili che si aprono in fondo alle viscere, non si scacciano le risonanze né i ricordi che si risvegliano quando scende la notte o spunta l’alba, non si scaccia l’eco delle grida, e ancora meno quello del silenzio. Non si scacciano nemmeno le frasi che non riesco a dire e che rimangono impresse in testa. Le parole sfuggono, disertano, si dileguano. Non è un problema di vocabolario né di definizioni perché di parole ne conosco parecchie, ma quando mi servono succede che si confondono, si disperdono. Chi lo sa, magari se riuscissi a renderle simultanee e direttamente consecutive ai pensieri potrei risolvermi. E’ per questo che credo che non riuscirò a risolvermi mai. Vedo tutto quello che mi passa per la testa però non mi fido mai. E’ ovvio che sono i miei pensieri e mi compongono. Ma mi riesce più facile vedere cosa passa per la testa della gente: è come una caccia al tesoro, un filo rosso che basta far scivolare fra le dita, fragile, un filo che conduce alla verità del mondo, che però non sarà mai rivelata.
A volte mi faccio paura, perché so che non bisogna giocare a questo gioco, bisogna saper abbassare gli occhi per conservare lo sguardo di bambino. Ma io gli occhi non riesco a chiuderli, restano spalancati. E qualche volta me li copro per non vedere. Non bisogna guardare troppo e troppo a fondo, perché è guardando che si capisce. E sarebbe meglio non capire, a volte.
Per fortuna la vita non è solamente una serie infinita di pensieri e parole che si alternano vorticosamente. Cioè, la mia vita è principalmente questo, però esistono i contesti reali, concreti, che hanno il compito di distoglierci dal mondo che c’abbiamo in testa. E’ per non alienarci. Tant’è che senza pensarci noi possiamo pure cambiare espressione del viso, e addirittura più volte in un solo secondo.
C’è la pallavolo, c’è “Il pettirosso”, c’è la Comunità che non sa tornare mai completamente, c’è l’università, ci sono i libri e i film e le canzoni, ci sono i miei amici. C’è una vita che viene in mio aiuto e mi dice che posso esserci, che io voglia crederci o meno. Ed io a volte ci credo, a volte no.
Troppa concretezza che manca, spesso. Mi innamoro, e mi innamoro del vento che vedo andar via.
Chi sono, cosa sono, di che materiale sono fatta?
Sono riducibile ad un insieme di parole che si traduce in un silenzio strangolante. So amare, ma non troppo bene. Mi riesce di dirlo solo a bassa voce. Così mi risolvo in un diario scritto, dove le parole cancellano ogni mio sogno a tempo debito.Ciò che non riesco a vivere, lo riesco a scrivere. E la vita o la si vive o la si scrive, diceva Pirandello. Quando la si scrive un po’ ci si relega agli angoli del mondo che si sviluppa nella propria testa. Ed è un mondo di solitudine, che non la puoi guardare, ma la puoi sentire e sai che non se ne andrà sopra le nuvole.
Non è roba mia questa, lo so, ma se ammettiamo che per due punti passa una e una sola retta, un giorno traccerò quella che va da te verso di me o da me verso di te.


Aiutami a non piangere, adesso siamo soli. La rabbia ormai è cenere, mio eterno dittatore. Stai qui, stai qui e dammi il buon esempio, non devi far vedere al cielo che hai paura. Babbo non l’avevi detto che finiva tutto e mi lasciavi qui. Babbo dammi ancora addosso, la vita è un gioco rotto se non ci sei più. Stai giù, stai giù, fermiamo questo tempo, ed io con la forza che ho di te non ti abbandono. Babbo non l’avevi detto che finiva tutto e mi lasciavi qui. Babbo stammi ancora addosso, la vita mi fa freddo se non mi copri più. E vai via dalle mani babbino caro, accendo il sole per te e non ti perderò. E la vita non è come un angelo che si alza e danza sulla punta dei piedi, e la vita che hai e che vedi andar via io vorrei ridartela come se fosse mia. Babbo non l’avevi detto che finiva tutto e mi lasciavi qui. Babbo stammi ancora addosso, la vita mi fa freddo se non mi copri più. E vai via dalle mani babbino caro, accendo il sole per te e non ti perderò.

[Babbino caro- Gianna Nannini]

venerdì 10 ottobre 2008

*Volalto Caserta, stagione pallavolistica 2008/09*

"Secondo alcuni studi il calabrone non può volare perché la sua larghezza alare
non è proporzionale alla sua grandezza corporea. Ma questo il calabrone non
lo sa, perciò lui continua a volare.
E' nel momento in cui dubiti di volare
che perdi per sempre la facoltà di farlo.
Più ci innalziamo e più sembriamo
piccoli agli occhi di coloro che non sanno volare."


(Friedrich Nietzsche)

CHE NE SARà DI NOI?

"Ciascuno porta in sè una individualità produttiva quale nucleo del suo essere;
e quando diviene cosciente di questa individualità, allora si propaga attorno a
lui una luce strana, cioè la luce dell'insolito."



Ieri pomeriggio presso la sede dell'Associazione "Il Torchio" a Somma Vesuviana, si è tenuto il convegno "Il futuro della scuola, la scuola del futuro" organizzato da "Il Pettirosso" (associazione politico-culturale di Pomigliano) insieme con AntiNaco, Giovani democratici per Somma, Laboratorio Democratico Volla e RUN Rete Universitaria Nazionale.Per ovvi motivi io non ho potuto presenziarvi, anche se il mio amico ERASMO mi ha fatto un resoconto generale del convegno -e su quest'ultimo potete trovare un articolo su www.ilmediano.it - .
In ogni caso la verità è una sola: SIAMO ANCORA IN POCHI A SENTIRE LA PUZZA DI BRUCIATO.

Vi ho già parlato in un post precedente del decreto legge 112 approvato ad agosto e di ciò che tale decreto prevede. Ritengo opportuno ricordare, a chi l'avesse dimenticato, che oltre a vedere i video sul tubo e a scaricare le canzoni dal mulo, su internet ci si può anche informare. Parlo di un tipo di informazione reale, seria, che non ha niente a che vedere con la valanga di notizie di cronaca nera che ci scarica addosso il tg 5 o il gossip con cui ci rimbambisce studio aperto. Siamo umani, non burattini, le emozioni indotte ci fanno funzionare male impedendoci di prendere consapevolezza di tutta la merda che ci sta affossando.

Domenica sarò al Pettirosso con Erasmo e Cristina a preparare la documentazione da diffondere nelle università e negli istituti superiori, frattanto continuo a cercare Elvira De Lucia, quella donna invisibile che è la rappresentate degli studenti della mia università, il Suor Orsola.
Davanti allo stato attuale delle cose non possiamo coprirci gli occhi. E' giunto il momento di alzare la voce contro chi sta mettendo le mani sul futuro di noi tutti.

Ad ogni modo, siccome a breve ci saranno le elezioni dei delegati regionali della giovanile del partito democratico, ho bisogno di voi.
In brevissimo tempo si devono presentare quanti più sostenitori alle candidature (tra cui anche quella di Erasmo) che verranno proposte in Campania. E’ per questo motivo che vi chiedo di aiutarmi a trovare tra amici, cugini, compagni di università (di età compresa tra i 14 e i 29 anni e residenti in Campania) quante più persone che possano sostenere il progetto.
Non si tratta in questo caso di firme, ma solo di sostenitori per raggiungere i numeri che ci vogliono per rendere effettive le candidature.
Di queste persone mi occorrono: nome e cognome, documento di identificazione (numero di carta d’identità o codice fiscale), luogo e data di nascita, indirizzo e possibilmente un recapito.
Vi prego di comunicarmi i dati via e-mail all'indirizzo
napulitangirl25@hotmail.com

Roberta

sabato 4 ottobre 2008

Roberta e (congiunzione) contenta

Non puoi attraversare il mare semplicemente stando fermo e fissando le onde.
Non indulgere in desideri vani.


Naufraga nella burrasca, e sono ancora qui.
Ieri l'esame è andato, ed è andato pure bene. Quel ventotto segnato accanto a "Storia Della Filosofia" non mi aiuterà a fare delle mie notti insonni un requie, ma è inutile stare a spiegare il perché di tante cose.
L'unica persona che ha capito è mia cugina Annalisa. In un messaggio mi ha scritto complimenti per essere riuscita a dare un esamone nonostante la situazione per niente semplice in cui ti trovi. Senza che io le spiegassi il perchè di tanta caparbietà lei ha capito che non contava niente il voto alto in sè, sul libretto.
Peraltro, intendiamoci, per una come me che al liceo è sempre stata un numero, e un numero sempre troppo basso, un voto buono non è niente di più di un ghigno alle spalle della Cimmino, una risposta a quelle pagelle insulse da scuola insulsa, una consapevolezza che matura visibilmente: scienze motorie non era per me, è questa la mia strada.
Del resto i miei 30 non hanno mai fatto di me una persona felice.
Solo Dio sa quanta resistenza ho opposto per preparare quest’esame, ed io non immagino quanta ancora dovrò opporne per vivermi la quotidianità, perciò sto sempre in guardia.
E solo Dio sa che il vero esame non erano i due secoli e mezzo di storia della filosofia inclusi nel programma.

C'ho proprio un mondo dentro che si sta evolvendo. Cambio, cammino, divento. E lo faccio sforzandomi, raccolgo i frutti del dolore. Questo camminare mica è tanto semplice, sotto i piedi ci sono sabbie mobili. Ma quanto è bello risalire quando manca un millimetro per affondare.

Alla mia università si continua come se niente fosse, la rappresentante degli studenti non l'ho mai vista e se la vedessi non saprei neppure cosa dirle, se non chiederle dov'eri?
Continuo a navigare anche io, non per dare esami come fossi una macchinetta solo per il gusto di un libretto che si riempie, ma devo navigare, non posso fermarmi. So che la barca su cui sto navigando potrebbe naufragare da un momento all'altro quindi devo evitare lo sfacelo. Devo armarmi per essere innanzitutto un viaggiatore efficace, ricordarmi di usare la paura come strumento d'azione sulla realtà. Dare forza ai miei compagni di viaggio e non lasciarmi intimorire dalla burrasca ma nemmeno osare sfidarla spavaldamente.
Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.
Bisogna essere ottimi naufraghi prima ancora che buoni marinai, se capite cosa intendo dire.

Piccola parentesi sull’esame di ieri mattina.
Nell’attesa di essere chiamata dal professore una ragazza davanti a me di nome Felicia incalza in una conversazione pro-esaurimento nervoso (domande riguardanti il programma incluse nel prezzo).
Ho paura, i professori sono cattivi, io sono bloccata, dammi coraggio, che c’entra Schopenhauer con Leopardi?, mi fai vedere il tuo libretto? e tante altre cose accompagnate da una cadenza sguaiata e una cacofonia inaudita.
Faccio l’esame, lei lo fa dopo di me, dice aspettami, ce ne andiamo assieme.
Occhei, ce ne andiamo assieme. Usciamo dall'aula e mentre scendiamo le scale le squilla il cellulare, con tanto di suoneria di uomini e donne che ci scommetto che sullo sfondo ci sta pure Costantino. Poi, dopo aver attaccato il telefono ride imbarazzata e si giustifica dicendo che mamma mia quel programma mi fa ridere perciò tengo la suoneria. Manco l’onestà intellettuale di stare zitta e darmi l’occasione di pensare, sì, sta assuefatta pure lei.
Felicia continua a straparlare mentre scendiamo da corso Vittorio Emanuele per andare alla circumvesuviana e mi racconta che solamente il padre lavora e allora vuole lavorare pure lei per pagarsi l’università. Perché l’università costa e i fratelli vanno a scuola, poi il fratello di 19 anni vuole sempre i soldi per mettere la benzina nella smart per andare dalla fidanzata, e il padre si fa le croci, e bacia a terra quando lei fa un esame.
La penso come una cosa ammirevole: cazzo, vuole pagarsi le tasse da sola! Ma Felicia ci mette poco a deludermi e dopo avermi chiesto quale telefonino avessi –come se la mia risposta mi consentisse di diventare più gradevole- dice che lei ama i telefonini e ne cambia uno ogni 3 mesi.
La guardo e penso di avere di fronte un composto fatto di inconsapevolezza, assuefazione e contraddizione. Ci sta dentro fino al collo.
Il colpo finale me lo dà quando dice che si è diplomata al pedagogico e sta in graduatoria per l’insegnamento. Sì, perché una come lei con due esami sul libretto, una contraddizione nello spirito e un’ignoranza che si insinua in ogni angolo del cervello può pure stare in graduatoria! Avrei voluto dirle che col maestro unico sta fuori pure chi sta in graduatoria, ma le ho evitato il dispiacere lasciandola
Felicia e contenta.

La vita tra queste mura continua ad essere un mestiere gramo, non c’è niente da fare.Ringrazio la mia famiglia per l’ottimo gioco di squadra che sta portando avanti, nessuno sa affondare in una maniera così dolce che equivalga la nostra.
Dico sul serio, stiamo là là per toccare il fondo però annaspiamo con una dignità invidiabile.
Papà deve sentire che noi ci siamo, lo deve sentire quando gli prepariamo il pigiama pulito o quando gli somministriamo i medicinali accompagnati dai baci che servono adesso, e che servivano anche prima quando mio fratello, mia sorella ed io eravamo piccoli, ma che non ci sono mai stati. Lo deve sentire quando mia sorella telefona e tra una stronzata e l’altra dice ci sto pure io, anche se da Pisa arriva solamente l'eco.
Esserci con tutto il corpo e tutta la mente, solo così noi possiamo aiutarlo a rimanere a galla. E ci siamo, giuro che ci siamo e nessuno sa farsi sentire così attento come noi.
Mi sembra che i venti abbiano voluto fare di lui la loro preda solo per garantirci l’impressione di poter riscattarci: ogni giorno che passa mi sembra di avere la possibilità di poter cominciare un’altra vita.
Il dolore unisce molto più della gioia, io questo lo sento in maniera ineffabile.

Ad ogni modo mi viene da dire, dopo un pomeriggio di interazione e di stronzate che riempiono la pancia di risate, mi viene da dire grazie ai miei amici che fanno sembrare le giornate di pioggia cupe e impietose di Pomigliano come fossero splendidi giorni di sole passati al luna park.


Prefer et obdura.Dolor hic tibi proderit olim.

[Ovidio]

lunedì 29 settembre 2008

"..non sai dove andare ma sai che ovunque andrai al fianco tuo mi avrai.."

Se fosse una lettera vorrei potertela leggere ad alta voce, con la speranza che in un punto impreciso della nostra emotività io e te potessimo, per la prima volta, incontrarci.
Ma dentro di me nasce come una preghiera mentre in sottofondo mi fa compagnia Battisti e, se non te lo sei scordato già, tu lo ami Battisti. O vuoi farmi pensare che adesso non lo ami più solo perchè quando ti guardi allo specchio con gli occhi sbarrati, ti cerchi e non ti trovi?!
Non sei più nella dimensione di Pasquale che con la mazza della scopa Pippo tra le braccia si finge Bobby Solo e canta "american woman tu tu tu", che cambia le parole ai testi delle canzoni e altre stronzate che da quando non riempiono più questa casa è inutile anche stare a spiegare, perchè tanto non mi fanno più ridere.
Dovrei essere a studiare perchè giovedì ho l'esame di storia della filosofia, questo benedetto esame su cui non riesco a concentrarmi, che già ho saltato a settembre credendo che starti vicino implicasse dover smettere di vivere la mia vita.
Adesso stringo i denti e ci provo: ho bisogno di gratificarmi, provare che sto resistendo ancora, e che sto resistendo anche per te.
Ci provo perchè nella vita bisogna sempre provarci, lo so che se ci stai dentro non ti fidi, ma credimi che è così.
Se riuscissi a portarti ancora rancore per tutto l'inferno che ci hai regalato me ne fregherebbe che non sei più tu.
Ma questo cuore di figlia innamorata di un padre che in silenzio ha fatto il tifo durante ogni singola partita di pallavolo non riesce ad abbandonarti.
Adesso tocca a te giocare, e si tratta di una partita un po' più importante.
Un play-off, mettiamola così. O passi o sei fuori.
Io non posso aiutarti, devo limitarmi a tifare. In silenzio.

Papà, in un mondo che non ci vuole più, il mio canto libero sei tu.