mercoledì 28 gennaio 2009

Hier ist kein Warum

L'anno scorso, a marzo, la preparazione dell'esame di Storia delle religioni del Mediterraneo l'ho vissuta come un'offerta, come un omaggio a chi ha subìto le angherie del nazismo.
Oggi ricorre la giornata della Memoria e posso dire di sentirmi minimamente partecipe, perchè preparare l'esame sulla Shoah non è stato la gratificazione del voto sul libretto.

E' stato un tuffo di pancia in un mare di dolore. Come se con Primo Levi ci fossi stata anche io in quel Lager ad aspettare di morire.

Riporto alcuni preziosi periodi di "Se questo è un uomo", che il pastello rosso ha solcato con un'indelicatezza richiesta e probabilmente indispensabile.

Se ci penso mi dà i brividi, eppure questo è uno dei libri che io ho amato di più.


"..nessuno dei guardiani, né italiani né tedeschi, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno di dover morire. Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all'alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare?"

"Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche un'infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell'altro, incertezza del domani."

"Questo è l'inferno. Oggi, ai nostri giorni, l'inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi stare in piedi, e c'è un rubinetto che gocciola e l'acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. Come pensare? Non si può più pensare, è come essere già morti."

"..allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo."

"Ma consideri ognuno, quanto valore, quanto significato è racchiuso anche nelle più piccole nostre abitudini quotidiane, nei cento oggetti nostri che il più umile mendicante possiede: un fazzoletto, una vecchia lettera, la fotografia di una persona cara. Queste cose sono parte di noi, quasi come membra del nostro corpo; né è pensabile di venirne privati, nel nostro mondo, chè subito ne ritroveremmo altri a sostituire i vecchi, altri oggetti che sono nostri in quanto custodi e suscitatori di memorie nostre.

Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poichè accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine "Campo di annientamento", e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo."

"Se fossimo ragionevoli, dovremmo rassegnarci a questa evidenza, che il nostro destino è perfettamente inconoscibile, che ogni congettura è arbitraria ed esattamente priva di fondamento reale. Ma ragionevoli gli uomini sono assai raramente, quando è in gioco il loro proprio destino: essi preferiscono in ogni caso le posizioni estreme; perciò, a seconda del loro carattere, fra di noi gli uni si sono convinti immediatamente che tutto è perduto, che qui non si può vivere e che la fine è certa e prossima; gli altri, che, per quanto dura sia la vita che ci attende, la salvezza è probabile e non lontana, e, se avremo fede e forza, rivedremo le nostre case e i nostri cari."


"La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è una proprietà della sostanza umana. Gli uomini liberi danno a questo scopo molti nomi, e sulla sua natura molto pensano e discutono: ma per noi la questione è più semplice. Oggi e qui, il nostro scopo è di arrivare a primavera."

"Poichè tale è la natura umana, che le pene e i dolori simultaneamente sofferti non si sommano per intero nella nostra sensibilità, ma si nascondono, i minori dietro i maggiori, secondo una legge prospettica definita. Questo è provvidenziale, e ci permette di vivere in campo. Ed è anche questa la ragione per cui così spesso, nella vita libera, si sente dire che l'uomo è incontentabile: mentre piuttosto che di una incapacità umana per uno stato di benessere assoluto, si tratta di una sempre insufficiente conoscenza della natura complessa dello stato di infelicità, per cui alle sue cause, che sono molteplici e gerarchicamente disposte, si dà un solo nome, quello della causa maggiore; fino a che questa abbia eventualmente a venir meno, e allora ci si stupisce dolorosamente al vedere che dietro ve n'è un'altra; e in realtà, una serie di altre.
Perciò, non appena il freddo, che per tutto l'inverno ci era parso l'unico nemico, è cessato, noi ci siamo accorti di avere fame: e, ripetendo lo stesso errore, così oggi diciamo: "Se non fosse della fame!...". Ma come si potrebbe pensare di non aver fame? Il Lager è la fame: noi stessi siamo la fame, la fame vivente."

"..ci si potrà domandare se sia bene che di questa eccezionale condizione umana rimanga una qualche memoria.

A questa domanda ci sentiamo di rispondere affermativamente. Noi siamo infatti persuasi che nessuna umana esperienza sia vuota di senso e indegna di analisi, e che anzi valori fondamentali, anche se non sempre positivi, si possano trarre da questo particolare mondo di cui narriamo. Vorremmo far considerare come il Lager sia stato, anche e notevolmente, una gigantesca esperienza biologica e sociale."

"..e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero."

"Per gli uomini vivi le unità del tempo hanno sempre un valore, il quale è tanto maggiore, quanto più elevate sono le risorse interne di chi le percorre; ma per noi, ore, giorni e mesi si riversavano torpidi dal futuro nel passato, sempre troppo lenti, materia vile e superflua di cui cercavamo di disfarci al più presto."

"Da molti mesi non conoscevo più il dolore, la gioia, il timore se non in quel modo staccato e lontano che è caratteristico del Lager, e che si potrebbe chiamare condizionale: se avessi ora -pensavo- la mia sensibilità di prima, questo sarebbe un momento estremamente emozionante."

"Oggi io penso che, se non altro per il fatto che un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza: ma è certo che in quell'ora il ricordo dei salvamenti biblici nelle avversità estreme passò come un vento per tutti gli animi."

"Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perchè è non-umana l'esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l'uomo è stato una cosa agli occhi dell'uomo."

"La memoria è uno strumento curioso: finchè sono stato in campo, mi hanno danzato per il capo due versi che ha scritto un mio amico molto tempo fa: ...infin che un giorno / senso non avrà più dire: domani. "

"Warum? -gli ho chiesto nel mio povero tedesco.

-Hier ist kein Warum- , (qui non c'è perchè), mi ha risposto.."

lunedì 26 gennaio 2009

..da parte a parte il cielo legherei alle mie dita..

Sentirsi in pari con il mondo non è una cosa che tutti, così, da un giorno all'altro. L'equilibrio si acquisisce attraverso l'esercizio, in punta di piedi sulla fune sottile, con gli occhi che guardano dritto e il non poter dimenticare che non c'è nessuno giù pronto ad attutire il colpo.
La capacità di far quadrare anche le figure più imperfette non è una qualità. E' un mestiere che si apprende e, volente o nolente, è necessario. E' faticoso, è roba che poi l'unica cosa che ti viene da chiederti è "perchè lo sto facendo?". Ma comunque continuare a lavorare, sempre, coi frutti che non maturano e la testa che pesa sul collo e torredicontrolloaiutostofinendol'ariadentroalserbatoio.
Non è salendo un solo gradino che si può pensare di arrivare a sfiorare il cielo.

Ma dopo tutto il fumo negli occhi, dopo tutto quel perdersi e quel non sapere, oltre quella sensazione di aver perso tutto, tutti, se stessi.
Dopo tutto questo, dicevo, dopo gli innumerevoli gradini che è stato necessario salire senza mai guardarsi indietro e provando a dissimulare i rantoli.
Dopo tutto questo peregrinare, e sudare, e lavorare, e non capire...allora cominciare a tessere la tela.
Punti sospensivi. Ineffabilità. Leggerezza nel cuore.
Lo spazio di recupero che mi sono guadagnata lo avverto come una liberazione forte.
Mi sono guadagnata il mio spazio in questo progetto che è la vita.

E' incoerente, e lo so: non ho dimenticato le volte in cui l'unico istinto era quello di strapparmi i capelli. Non è immutabile nè stabile, perchè una volta arrivati in cima bisognerà risalirli tutti, ma proprio tutti, quei gradini. E verranno altri giorni in cui guardandolo, il disegno, sembrerà comunque da rifare.
Ma adesso è completo, e me ne compiaccio.
E poi adesso ci sei anche tu...

venerdì 23 gennaio 2009

Se telefonando...

D :"..allora Robè, salutami Rosa!"

Io :"..veramente Rosa è già ritornata a Pisa, comunque glielo dirò.."

D. :"..UHA però che bella la Toscana: Pisa, Lucca, Firenze, GENOVA...Robè VANCI!"

mercoledì 21 gennaio 2009

All the small things

Non c'entra niente con l'insediamento di Obama alla casa Bianca e non me ne frega molto che non si tratti del New York Times, in fondo negli anni passati già leggere il mio nome su "Napoli Più" mi garantiva 24 ore di sicura ed ininterrotta autostima. Quindi, ritrovarmi su "La gazzetta di Caserta" è solo un'altra piccola ossessione, qualcosa che mi leghi ancora a questa vita.
Che dire, l'audacia, la passione e la costanza ripagano. E c'è più gusto se accade anche nella stagione in cui si è chiamati ad essere "secondi".



PALLAVOLO - SERIE C LO SRI CONQUISTA IL TERZO POSTO ED ORA ATTENDE LA CAPOLISTA

IL VOLALTO ESPUGNA CERCOLA

CASERTA. Ottava vittoria consecutiva per la SRI VolAlto nel difficile campionato di volley di serie C, conquistata in quel di Cercola contro una formazione difficile da battere, soprattutto in casa propria, come del resto attestato dalla buona posizione in classifica.
La gara, terminata con il punteggio di 3-0, è stata molto combattuta, soprattutto nel primo e nel terzo set, nella cui fase finale le Volaltine sono state capaci di ribaltare una situazione quasi disperata, dal 24-17 per le avversarie al 24-26 che ha chiuso l'incontro.
La dirigenza e la coach Lina Infante hanno avuto un'ulteriore dimostrazione della compattezza della squadra, capace di sopperire anche a qualche problema, che questa volta ha interessato il forte opposto Valentina Fusco, scesa in campo con problemi fisici, in virtù della forza di tutte le atlete del roster, anche quelle meno impegnate che sanno comunque farsi trovare pronte nei momenti cruciali.
Ottime in tal senso le prestazioni di Melina Salzillo, impiegata in un ruolo non più suo proprio per dare respiro alla Fusco, e soprattutto di Roberta Cetro, la seconda palleggiatrice, che, nel corso del terzo e decisivo set, subentrata a Tina Di Matteo, autrice di una buona gara nei primi due set e giunta un po' stanca a quello conclusivo, è stata capace di non far avvertire l'assenza della collega trascinando la squadra con autorevolezza e precisione alla vittoria finale, grazie all'eccellente stato di forma garantitole dalla costanza negli allenamenti e dalla voglia di far bene, rendendo inutile il ricorso al quarto set come era ormai nell'aria.
Ora la SRI Volalto ha agganciato il terzo posto in classifica, ad un solo punto dalla seconda Vico Equense in virtù della contemporanea sconfitta a Benevento della squadra di Aversa che precedeva in classifica le casertane, che ora si preparano ad un tour de force intenso, con il ritorno della gara di Coppa Campania martedì prossimo, 20 gennaio, a Caserta nella palestra "Vanvitelli" a Centurano di Caserta.Grande festa quindi per i tifosi dei vari fan club sorti quest'anno, in particolare per il club 'tutti pazzi per Rokketti', dedicato al direttore sportivo della società, che sperano in una striscia ancora vincente delle atlete casertane.

(articolo pubblicato su La Gazzetta di Caserta di martedì 20 gennaio 2009)

domenica 18 gennaio 2009

..come un equilibrista che sul mondo sfida il crollo delle sue capacità..

Se la felicità è un istante allora quest'istante lo voglio concretizzare nel ballo di questi tasti che muoiono dalla voglia di raccontarla.
La mia felicità è entrare in campo sul due a zero per noi, quando il terzo set lo stanno vincendo le avversarie 22-16, e giocare cinicamente, lucidamente, col cuore affaticato e stanco per il peso della responsabilità che porta in groppa ma comunque non timoroso.
La felicità è vincerlo quel set, vincerlo 26-24 e poter dire "sono state anche le mie mani".
Una volta un allenatore ha detto che il segreto sta nel "tomo tomo cacchio cacchio": LAVORARE SODO VOLANDO BASSO.
Poi c'è un altro allenatore con cui ho avuto la possiblità di vivere una settimana di intensa pallavolo a Ravenna, a giugno di due anni fa. Questo allenatore si chiama MARCO BONITTA e le sue parole ce le ho fissate bene in testa: "essere se stessi è fondamentale: bisogna avere buone occasioni e persone che credono in te".
Io sono una di quelle che lavora sodo e vola basso, e si scontra coi suoi limiti, e a volte pensa di poterci morire per quelle barriere invalicabili.

Ma io sono anche quella che stasera ha volato alto, che è tornata regina in campo, che ha sentito che quella magia riaccade.
Grazie al mio capitano Paoliji e a Melina in particolar modo, ma anche a tutte le altre mie compagne di squadra, grazie a Licia, grazie a Bumbardiello, grazie alla mia coach Lina e al mio coach Carletto.
Grazie a chi sa credere in me e in questo meraviglioso progetto che si chiama VolAlto.

IPC Cercola 0 - VolAlto Caserta 3


"..vivo di emozioni che tu, tu, non sai nemmeno di darmi.."



[E non mi resta che allacciare un paio d'ali alla mia testa

e lasciare i dubbi tutti a una finestra
per quel paio d'ali fuori è ancora festa...]

sabato 17 gennaio 2009

La Mariposa

La Mariposa è il viaggio lungo del mio riflesso allo specchio. Inaccettabile. Rumoroso. Ripugnante.
Mentre cammino e misuro la mia ombra ancora mi vergogno della consapevolezza che ho conosciuto durante il viaggio. Mi sta attaccata alle gambe, proprio non se ne va via.

Io sono Mariposa.
E ci ho corso con i lupi, ma poi sono rimasta indietro.Loro invece, i lupi, mi sono rimasti tutti in testa.


"I turisti arrivano con ogni sorta di aspettative, dal sacro al profano.Vengono a vedere qualcosa che non tutti potranno vedere, uno degli esseri più selvaggi, un numen vivente: La Mariposa, La Donna Farfalla.
L'ultimo evento della giornata è la Danza della Farfalla, danzata da una sola donna, e che donna!
Quando il sole comincia a tramontare, arriva un vecchio risplendente in un pesante abito turchese. Con l'altoparlante che stride come una gallina che ha appena scorto un falco, sussurra nel microfono cromato anni Trenta :"E la nostra prossima danza sarà la Danza della Farfalla". Zoppicando, si allontana.
(...)
In ansiosa attesa della Danza della Farfalla, si parla delle fanciulle-farfalla e della bellezza delle fanciulle Zuni che danzano in antichi abiti rossi e neri, con una spalla nuda e cerchietti rosa dipinti sulle guance, e si lodano i danzatori che danzano con rami di pino legati alle gambe e alle braccia.
Il tempo passa.
E passa.
E passa.

Poi, inaspettatamente, poichè tutti sono seccati e minacciosi, il tamburo fa risuonare il ritmo sacro della farfalla, e i cantori cominciano a levare lodi agli dei. Per i visitatori una farfalla è cosa assai delicata :" O fragile Bellezza!", sognano. Restano necessariamente sconvolti quando d' improvviso appare Maria Lujan. E' grossa, davvero grossa, come la Venere di Willendorf, come la Madre dei Giorni, come l' immensa donna di Diego Rivera, che costruì Città del Messico con una sola piega del polso.
Maria Lujan è vecchissima, come una donna tornata dalla polvere, come un vecchio fiume, come un vecchio pino. Ha una spalla nuda. La manta rossa e nera, una sorta di ampia tunica, sobbalza con lei dentro. Il corpo pesante e le gambe ossute la fanno sembrare un ragno chiuso in un guscio. Salta su un piede e poi sull'altro. Sventola il ventaglio di piume.E' la Farfalla venuta a dar forza ai deboli. E' tutto quanto molti pensano non sia forte: età, farfalla, femminino. Ha i capelli lunghi fino a terra. Sono spessi come dieci fasce di granturco e del grigio della pietra. E indossa ali di farfalla, come quelle dei bambini che impersonano gli angeli nelle recite scolastiche. Ha fianchi che paiono gerle sobbalzanti, e su quella sorta di panchetto formato in alto dalle natiche potrebbero sedere due bambini. Saltella, saltella, saltella, non come un coniglio, ma con passi riecheggianti.
"Sono qui, qui, qui...
Sono qui, qui, qui...
Voi, voi, voi, su, sveglia!".
Fa oscillare su e giù il suo ventaglio di piume, spargendo sulla terra e sulle persone della terra lo spirito impollinante della farfalla. I bracciali di conchiglie tintinnano come serpenti, le giarrettiere coi sonagli tintinnano come pioggia. La sua ombra, con quel ventre enorme e le gambette sottili, danza da una parte all'altra della pista. I suoi piedi si lasciano dietro piccoli sbuffi di polvere. Le tribù sono invase dalla venerazione, i visitatori invece mormorano :"E' lei? E' questa la Fanciulla Farfalla?". Sono perplessi, alcuni perfino delusi. Paiono non rammentare più che il mondo dello spirito è un luogo in cui le lupe sono donne, gli orsi sono mariti,e le vecchie opulente sono farfalle.
E' conveniente che la Donna Selvaggia/ Donna Farfalla sia vecchia e grossa, perchè porta il mondo del tuono in un seno e l' oltretomba nell' altro. La sua schiena è la curva del pianeta Terra con tutti i raccolti e i nutrimenti e gli animali. La nuca porta il sorgere del sole e il tramonto.La gamba sinistra trattiene tutti i poli, la gamba destra tutte le lupe del mondo.Il suo ventre porta tutti i bambini che saranno dati alla luce. La Fanciulla Farfalla è la forza femminile fecondante. Portando il polline da un luogo all'altro, ovunque feconda, così come l'anima rende fertile il mondo terrestre. Lei è il centro. Riunisce gli estremi opposti prendendo un po' qua e mettendo un po' là. La trasformazione non è così complicata: questo insegna. Così fa la farfalla, così fa l'anima.
La Donna Farfalla corregge l' idea erronea secondo cui la trasformazione va bene soltanto per la torturata, la santa o la favolosamente forte. Il Sé non ha bisogno di trasportare montagne per trasformarsi. Basta poco. Il poco fa molta strada. Il poco molto fa cambiare. La forza fertilizzante sostituisce lo spostamento delle montagne.
La Fanciulla Farfalla impollina le anime della terra. "E' più facile di quanto possiate immaginare", dice. Scuote il suo ventaglio di piume e saltella, perchè riversa il polline spirituale su tutti i presenti, i Nativi Americani, i bambini piccoli, i visitatori, proprio su tutti. Usa il suo intero corpo come una benedizione, il suo corpo vecchio, fragile, grosso, dalle gambe corte, dal collo corto, ricoperto di macchie. Questa è una donna strettamente connessa alla sua natura selvaggia, colei che traduce la forza istintuale, fecondante, colei che corregge, colei che rammenta antiche idee. E' la Vòz Mitològica. E' la Donna Selvaggia personificata.La danzatrice farfalla dev'essere vecchia perchè rappresenta l'anima, che è vecchia. E' larga di cosce e ampia di spalle e di schiena perchè molto trasporta. I capelli grigi attestano che non deve più osservare dei tabù nel toccare gli altri. Le è consentito toccare chiunque: bambini e ragazzini, donne e uomini, vecchi, malati, morti. E' un suo privilegio toccare tutti, alfine. Questo è il suo potere. Il suo è il corpo de la Mariposa, la farfalla.

Il corpo è come una Terra. E' un territorio vulnerabile all'eccesso di cementificazione, a essere ritagliato in appezzamenti, crivellato di pozzi e miniere e deprivato del suo potere come qualsiasi paesaggio. La Donna Selvaggia non sarà facilmente influenzata dai nuovi progetti di sviluppo. Per lei, le domande riguardano non il come formare ma il come sentire. Il petto in tutte le sue forme ha la funzione di sentire e nutrire. Nutre? Sente? E' un buon petto.
I fianchi sono larghi perchè dentro c'è una culla in avorio satinato per la nuova vita.I fianchi della donna sono sporgenze per il corpo sopra e sotto, sono portali, sono un cuscino lussureggiante, le maniglie per l'amore, il luogo dietro cui i bambini possono nascondersi. Le gambe sono fatte per portarci, talvolta per spingerci avanti; sono le carrucole che ci sollevano, l'anello per cingere l'amante. Non possono essere troppo qualcosa o qualcos'altro. Sono quello che sono.
Non c'è nulla di "necessariamente tale" nei corpi. La questione non sta nelle dimensioni della forma o nel numero d'anni, e neanche nell'avere un paio di tutto, perchè non sempre è così. Ma la questione selvaggia è: sente questo corpo, possiede la giusta connessione con il piacere, il cuore, l'anima, il selvaggio? Ha gioia, ha felicità? Può a modo suo muoversi, danzare, saltellare, ondeggiare, spingere? Null'altro conta.
Da piccola una volta mi portarono al Museo di Storia Naturale di Chicago. Vidi le sculture di Malvina Hoffman, decine di sculture in bronzo scuro a grandezza naturale nella grande sala d'ingresso. Aveva scolpito i corpi nudi di persone di tutto il mondo, e nutrito visioni selvagge.
Profuse il suo amore sul vitellino del cacciatore, i lunghi seni della madre di due figlie ormai grandi, i coni di carne sul petto della vergine, i poveri attributi spenzolanti a metà coscia, il naso con narici più grandi degli occhi, il naso aquilino come di rapace, il naso diritto come un fuso. Si era innamorata di orecchie come semafori, e di orecchie calanti sul mento e piccole come noci americane. Amò tutti i capelli attorcigliati come un cesto di serpenti, o tutti i capelli ondulati come un nastro che si dispiega, o tutti i capelli lisci come spinaci. Ebbe l'amore selvaggio del corpo. Comprese il potere che sta nel corpo.
C'è in Ntozake Shange un verso per le ragazze di colore che hanno pensato al suicidio / quando l' arcobaleno basta.
Nel lavoro teatrale, la donna parla dopo avere lottato per affrontare tutti gli aspetti psichici e fisici di sè che la cultura ignora o svilisce.
Si riassume in queste parole sagge e serene:

ecco quel che ho...
poesie
grosse cosce
capezzoli piccini
&
così tanto amore

Ecco il potere del corpo, il nostro potere, il potere della Donna Selvaggia. Nei miti e nelle favole le divinità e altri grandi spiriti mettono alla prova il cuore degli esseri umani mostrandosi sotto varie spoglie. Si presentano in abiti lunghi, ricoperti di stracci, con fusciacche d'argento o con piedi infangati. Si mostrano con la pelle scura come legno vecchio, o in squame fatte di petali di rosa, fragili come bambini, come una vecchia giallo limone, come un uomo che non può parlare, o come un animale che invece parla. I grandi poteri mettono alla prova gli esseri umani per appurare se hanno già imparato a riconoscere la grandezza dell'anima in tutte le sue mutevoli forme.
La Donna Selvaggia si mostra in varie dimensioni, forme, colori e condizioni.
Vegliate, così potrete riconoscere l'anima selvaggia nelle sue varie guise."


[Donne che corrono coi lupi, Clarissa Pinkola Estès, Frassinelli]

venerdì 9 gennaio 2009

Ma va' facebook! -ma allor sì scem?-

Ma dico io, no, niente di meno abbiamo rasentato lo strascino, e tu che fai?!
MI AGGIUNGI A FACEBOOK?!?!



lunedì 5 gennaio 2009

Le radici ca tieni

Copio qui il trafiletto di un libro che parla della mia famiglia e di me, che sono nata e cresciuta tra l'odore del pane.
Questa è una parte della storia del panificio, perciò storia nostra, storia di noi che portiamo avanti la tradizione di un mestiere così nobile.


"Il terzo era un tipo molto caratteristico anche fisicamente, si chiamava Eugenio Cetro ma era soprannominato “Bbiloscia” con forno in via Carmine Guadagni. La sua produzione di pane integrale era molto limitata, ma le sue due grandi specialità erano: per prima le “freselle”, ciambelle di pane semicotto in forno, poi tagliate in due parti nel senso orizzontale e rimesse in forno a biscottare fino al completo raffreddamento del forno stesso. Le suddette freselle erano delizie da gustare sia sotto una zuppa di fagioli, sia, leggermente sfregate con uno spicchio di aglio e inumidite, a formare, nelle calde sere estive, la base della “caponata” cioè coperte da pomodori tagliati a metà, alici salate sott’olio, zucchine alla “scapece”, e spesso anche da melenzane a “fungetielle” e il tutto irrorato da un filo d’olio costituivano un piatto unico fresco e fragrante per la cena. La seconda specialità di Cetro erano le classiche pizze napoletane che, in assenza totale sul territorio delle pizzerie, si era organizzato a produrre di sera e andava in giro a venderle, ben sistemate nella “stufa” (recipiente di banda stagnata contenente più ripiani e coperto da un coperchio sovrastato da uno sfiatatoio a camino) e “dava la voce”, scherzando sul suo soprannome, “Bbiloisc! mò m'aggio furnuto ‘e m’appiccicà cu’ Caflìsc” (storico pasticciere napoletano) e così riforniva di bollenti “margherite” e “marinare” le mense pomiglianesi di una squisita cena invernale.
Poi, fattosi più avanzato in età, e forse anche per l’incremento della produzione, aveva assunto, per la vendita a domicilio, un suo nipote, Alberto. Per le serate molto fredde, aveva inventato una versione della pizza con “pomodoro, aglio, olio e spadella” (peperoncino piccante cui si attribuisce anche effetti afrodisiaci) per cui Alberto nel dare “la voce”, con cui segnalava il suo passaggio per le strade semibuie, diceva: “Muzzeca ponta ponta... e vire ca’ t’afferra!”.
Il figlio Vincenzo, prematuramente scomparso per un incidente stradale, e poi i nipoti, in un panificio moderno, continuano la tradizione delle “freselle” per la delizia del palato degli intenditori Pomiglianesi e producono panini all’ingrosso per il rifornimento quotidiano del fragrante alimento alle salumerie della zona."

[dal libro Acquerelli Pomiglianesi, di Mario De Falco]


venerdì 2 gennaio 2009

"Ti porterà fortuna"

Carlo Conti da Rimini perchè sennò il count down non è credibile nonostante i Pooh, Paola e Chiara, Alan Sorrenti e perchè no, io avrei chiamato pure Nicola Arigliano.
Cento feriti e due morti causa botti perchè è una vita che perdiamo occhi, dita e facce intere ma non impariamo mai.

Tombolella con il solito coglione che fa sempre la solita battuta al primo numero uscito, "ambo", perchè è tradizione.
E i messaggi beneauguranti, che sia un 2009 meraviglioso pieno di salute, gioia, amore, felicità, serenità, fortuna, che mi viene da pensare "ma fa che so loro a portarmi sfiga?". Che poi manco al festival del qualunquismo sono più in gara sti messaggi.
Alla fine il problema è che i mesi sono solamente dodici, e a dodici il teatrino finisce con il solo scopo di ricominciare da uno. Inevitabilmente.

Se non ricordo male la cifra dispari finale m'è sempre stata più simpatica. E allora così sia, nel bene o nel male, che arrivi altra vita intensa.
Appi niù iar, Bobbe!

N.b. ho chiesto al libro delle risposte "ma per il 2009?" e lui mi ha profeticamente risposto "ti porterà fortuna".

Carol Bolt, se pure stavolta non ci prendi so' mazzate!