martedì 24 febbraio 2009

La sessualità della pantera rosa

Quando dai più di quanto ricevi
rischi la pelle e poi
non devi dire che ti hanno ingannato.
Questo non significa che tu non debba amare
non è una guida al suicidio, riveduta e corretta
è solo qualcuno che ha imparato ad andarci piano.
Fidarsi è il peggior delitto e la via
più breve per l'inferno.
Questo non significa che non ti possa fidare
è solo qualcuno a cui hanno spezzato il cuore
troppe volte in una stessa notte.
Amare e fidarsi sono passioni umane
dello stesso genere e
non sono nessuno
per dirti cosa devi fare
solo un tizio messo male
che ha imparato ad andarci piano

a non fare più del necessario.


[Canzoni più mediocri ancora - efraim medina reyes]



domenica 22 febbraio 2009

Post-partita

"..MA RESTO CONVINTO, ANCHE ORA, CHE UN PALLEGGIATORE PUò ANCHE ESSERE PICCOLETTO, SE HA ALTRE DOTI PUò COMPENSARE LE LACUNE FISICHE.
A ME 'STA COSA HA SEMPRE DATO UNA GRAN CARICA.."

[Fefè De Giorgi]


Fefè De Giorgi, prima ancora di essere un grande allenatore -attualmente sulla panchina di Macerata- è stato un grande palleggiatore.
Questa citazione l'ho scritta tre anni fa su un foglietto bianco strappato ad un minuscolo notes. E adesso una graffetta verde, ancora la unisce all'estremità superiore della coppa che ho vinto nel 2006, durante l'undicesimo memorial "Elisa Campanile".
Ieri sera, tornata da Aversa, sono entrata Nella Mia Stanza e ho lanciato un sorriso riconoscente al foglietto bianco legato alla coppa.
L'amore che ci metto mi aiuta a spuntarla sempre, anche quest'anno in cui sono l'ultima arrivata. Che faccia di culo, l'ultima arrivata. Ogni volta che vengo chiamata in causa faccio il mio ingresso da dietro le quinte e succede la magia.
Dura un'eternità, la trance, la sensazione di essere oltre, di non aver bisogno di desiderare null'altro, di aver vinto già, per certi versi, la morte.
Bastano due braccia sopra la testa, un gioco di polsi, e il cervello si spegne. E, spento com'è, in una frazione di secondo opta sempre per la scelta migliore. In mezzo al campo so sempre scegliere. E cazzo, se non è una grande rivincita.
Io mi sento palleggiatrice nella testa, dentro al cervello. Non avrei potuto essere nient'altro nella vita, dentro e fuori dal campo.
Jambo Aversa 0 - SRI VolAlto Caserta 3.
E sono state anche le mie mani.


"LA PALLAVOLO è UN VIRUS CHE SI INOCULA NEL DNA E DAL QUALE NON SI GUARISCE PIù"

mercoledì 18 febbraio 2009

Anestetici sorrisi

Ho appena gridato "frustallà" ad un gatto invasore, uno di quelli che arrivano sul mio terrazzo per seppellire le loro cagate sotto le piantine di pomodori che mia nonna, ingenuamente e amorevolmente, coltiva. Pomodori per neonati, intendiamoci. Arrivano a 10 millimetri di diametro, sono pure belli rossi. Poi periscono.
Il gatto se l'è data a gambe, spaventato dal mio acuto, e nel tentativo di fuga è incappato in un capa e muro tremendo, che se non c'avesse avuto altre sei vite a disposizione avrei dovuto pure fargli il funerale.
Cade neve sciolta stamattina, ed io indosso un pigiama triste, di un colore triste. E sul pigiama indosso un maglione ancora più triste. Roba da ricovero coatto, che non c'è manco bisogno di chiedermi se qualcosa non va, basta guardare il cazzo di modo in cui sono vestita e la risposta esatta è l'unica possibile.
Ma, voglio dire, se a Povia è consentito cantare a Sanremo che "Luca era gay", allora io posso starmene a casa mia con un pigiamino di un verde acqua indefinito e un maglione over 70 che probabilmente mia nonna non indosserebbe mai, perchè poco trendy per i suoi gusti.
Mi fanno ridere un po' di cose, stamattina, che come sempre sono sempre le stesse.
E cioè queste cose che non escono mai dal diametro della nostra vita, si allontanano, fanno giri immensi e poi ritornano. Come gli amori di cui canta Venditti.
Anche quest'anno c'è Sanremo. E ce l'abbiamo tutti sui cosiddetti. E ce l'abbiamo così sui cosiddetti che ci sentiamo in dovere di guardarlo per criticarlo.
Ringrazio Dio che c'ho la mia sana pallavolo che, se è vero che mi fa perdere tutto della vita, e soprattutto tutto ciò sia vivibile tra le 18.30 e le 23.30 del giorno stesso tutti i giorni, è anche vero che mi risparmia la sedentarietà più infame: quella dello spirito. Non che io faccia troppa fatica a dire "no" a certi ricatti mediatici, però ci sta il fatto che certe volte hai bisogno di assistere a certe stronzate ciclopiche, per ridertela un po'.
E così. E così ieri sera, tornata da Caserta, ho scoperto che Marco Carta a Sanremo rientra nella categoria big. A tale proposito ho deciso di smettere di dimagrire, così l'anno prossimo rientrerò anche io tra i "big". Mi sembra un'equazione logica per me che di equazioni non ci ho mai capito un cazzo.
Poi ho assistito ad una stonatissima Iva Zanicchi che, fin quando occhei il prezzo era giusto, ci poteva pure stare. Ma "cento, cento, cento" ieri sera non gliel'avrei mai urlato. Ma voglio dire, fa un certo effetto che una nel meglio della sua rispettabilissima menopausa vada a stonare una canzone intitolata "ti voglio senza amore". Mi sono chiesta se l'anno prossimo sarà consentito pure a Cicciolina rientrare tra i big.
Tornando a Povia, che non a caso ho citato per primo, mi sa che deve averci una visione un po' distorta della vita. Va bene che i bambini fanno oh, e va bene pure che vorrebbe avere il becco. Ma cantare di uno che racconta della sua gaytudine come se ne fosse diventato vittima, come di una cancrena irrimediabile, e come se essere gay fosse complementare all'infanzia difficile, alla madre ansiosa e al padre assente, non mi sta bene.
Stando alle equazioni di Povia, anche la sottoscritta sarebbe stata gay. Il fatto è che Povia non lo sa.
Cioè, ci ha messo una psicologia pane e peperoni in quella canzone, che io non lo so la nostra fantasia dove minchia può arrivare. Ovviamente alla fine dell'esibizione -costituita al novantanove per cento da rime baciate da prima elementare- è fuggito dal palco lasciando il posto ad un cartellone che, se ci fosse stato scritto "pubblicità", sarebbe stato meno paraculo.
Alla fine, intendiamoci, a me di Sanremo non me ne fotte niente, a parte il fatto che mi dispiace che la musica italiana sia passata dalle mani di Guccini a quelle di Marco Carta, per dirne una. Però me ne fotte del fatto che loro credono di saziarci così beceramente. Ci guardiamo Sanremo e ci scordiamo della Fiat che soltanto qui, a Pomigliano, prevede un numero abnorme di potenziali licenziamenti. Sedativo per le coscienze? Non lo so.
Non me ne fotte niente manco del contratto di Bonolis, che fino a quando è riuscito a nascondere la sua avidità, godeva della mia stima spropositata. Ma adesso che gli si fanno gli occhi lucidi per niente e la sua ingordigia è malcelata, mi viene l'orticaria come quando vedo Mara Venier in tivvù o passano Laura Pausini per radio o mi ricordo della Cimmino al liceo.
Paolè, credimi, a me del tuo milione di euro me ne passa per. Ma che te ne fai? Dico, qua gli occhi lucidi ci vengono a tutti, ci basta metterci le mani in tasca.
Ma in termini EFFETTIVI -e solo Dio sa quanto mi stia innamorando di questa parola!-, tu questa crisi come me la risolvi?

Questi sono gli interrogativi profondi di questa ventenne sprovveduta, in un mercoledì mattina in cui dovrei cominciare a preparare gli ultimi due esami di questo primo semestre. E sono già in ritardo di tre giorni sulla tabella di marcia. E' che non mi viene da studiare, perchè non ci trovo il motivo. Cioè, oltre l'appagamento del libretto che si riempie, dopo io che fine farò?

Confesso, infine, un desiderio. Che un po' c'ha a che fare con tutta la pappardella, perchè più scavo con le domande e più mi viene voglia di smettere di chiedermi.
Io vorrei chiamarmi Roberta Marfè. E Roberta sarebbe il mio nome d'arte.
E il pop denz sarebbe il mio genere dichiarato, e il mio cavallo di battaglia pop denz sarebbe CelatoAccioccolato. E sarei una tipa un po' frizzantina. E il mio pezzo forte sarebbe il fragolone.
Che, vogliate perdonare l'allusione, ma per quanto mi riguarda sono tempi di carestia pure per quello.



Tutto si muove, non riesco a stare fermo
tremando ti cerco in tutti i canali
Alta tensione ma senza orientamento
sbandando ti seguo in tutti i segnali
Fuori controllo ormai mi pulsi dentro
sento il contagio di un'infezione
Senza ragione disprezzo ogni argomento
ogni contatto, ogni connessione.
Ti cerco perchè sei la disfunzione, la macchia sporca, la mia distrazione,
la superficie liscia delle cose
la pace armata, la mia ostinazione...
Nuova ossessione che brucia ogni silenzio
dammi solo anestetici sorrisi ed una
Nuova ossessione corrodi ogni momento
sei la visione tra facce da dimenticare
Nuova ossessione e ormai ci sono dentro
dammi solo anestetici sorrisi ed una
Nuova ossessione perchè mi trovo spento
senza illusioni tra facce da dimenticare.
Senza frizione piloti il mio tormento
sbandando ti cerco in tutti i canali
Fuori visione piloti il mio buon senso
non c'è più pace o consolazione
Ti cerco perchè sei la disfunzione, la macchia sporca, la mia distrazione,
la superficie liscia delle cose
la pace armata, la resurrezione...
Nuova ossessione che brucia ogni silenzio
dammi solo anestetici sorrisi e ancora
Nuova ossessione corrodi ogni momento
sei la visione tra facce da dimenticare
Nuova ossessione e ormai ci sono dentro
dammi solo anestetici sorrisi ed una
Nuova ossessione perchè mi trovo spento
senza illusioni tra facce da dimenticare
Oggi il suo futuro anteriore
trasmette solo prospettive allarmanti
e in casa lo rinchiuderà sintonizzato su ossessioni imperanti.
Oggi il suo diagramma del cuore è schermo piatto
e nebulose stagnanti
forse è così che resterà o forse sta per decollare e inventarsi una
Nuova ossessione...



[Nuova ossessione - Subsonica]


mercoledì 11 febbraio 2009

Rumba verso il buco

Non ci vuole molto a capire com'è che torni alla mente, così nitida, la violenza.
Le cicatrici si sono aperte tutte, stasera.
Brava, complimenti!
Nella testa sono vive le mattinate a quel cazzo di Cus quando stavo a scienze motorie.
Le palline di carta tra i capelli, le umiliazioni gridate al vento, quella parolina di troppo mentre aspettavamo il treno a Cavalleggeri e casa era irrimediabilmente lontana.
Tutta gente che ho sfuggito dopo tutto quel tormento, anche nella testa.
Poi stasera arrivi tu e colpisci dove fa male.
E mentre parli mi rivedo chiusa in bagno con lo zaino pieno, rivedo Mario che non perdeva mai occasione per la parolina sprezzante.

Vedo il mio riflesso in una vetrina spropositata, e cammino, cammino veloce per superarla ma è infinita, è tutta una vetrina la palestra, stasera.
Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.


lunedì 9 febbraio 2009

Dancing (un passo indietro)

Sciolgo le mani: stasera bisogna dire tutto quello che bisogna dire.
Leggera come un volo di farfalla questa domenica di grandine e tramonto a via Caracciolo, con l'acqua che pungeva fitta sulla testa, col sole che puntava dritto alle mie pupille.
Compleanno del coach, e mi è caduto addosso il paradosso mentre partecipavo a questo stare insieme a fare festa, a elaborare la gioia di volare alto insieme, quest'anno.
Dico tengo un'allenatrice fenomeno -e tanti auguri, coach!-, tengo delle AMICHE di squadra, tengo questo stare tutte assieme come squadra che sembra l'alchimia perfetta dell'esistenza. Tengo tutto quello che fa la differenza, ed è una sacrosanta normalità.
In sottofondo invece tengo un cd, ventuno canzoni.
Canzoni, poi!...quanto sono riduttiva, a volte!
Blu cobalto, Negramaro. Luce dei miei occhi, Ludovico Einaudi. L'apres midi, Yann Tiersen.
Come dire c'era molto altro che forse non è stato scritto, forse.
Aity dice è che tu c'hai questo sentire...
Benedetto sentire, chè te ne accorgi quando il cielo e il mare si ingoiano il resto attorno e lo mostrano soltanto a te, e il cemento grigio degli alberghi non lo vedi più, e vedi solo il mare, questo infinito mare che schiuma rabbia e vita sugli scogli. E vedi solo il cielo, questo infinito cielo dietro il suo tramonto di nuvole. Questo sentire che ti fa dire siamo oltre e la vita non è solo questa, questo sbattersi per le scarpe nuove e il cappotto abbinato, non è la lotta per avere ragione. E' un confrontarsi col mare e col cielo e con la loro enormità.

Per dirne una che va detta, ad esempio:
Siamo oltre la presunzione di decidere se una persona -che per sè non può decidere- debba vivere o morire.
Siamo dalla parte della sofferenza solo se l'abbiamo patita e possiamo accompagnare chi la patisce a fare un giro all'inferno, e una volta finito il giro non aver paura di ricordare e di reincontrare il dolore.
Siamo oltre.
Dobbiamo continuare a ballare il valzer, ma con l'eleganza che il valzer richiede. Col dubbio che incalza, per cui non so se domani mattina riuscirò ad alzarmi, poi aprire gli occhi l'indomani e dimenticare l'incertezza pregressa.
E poi accogliere di nuovo quel dubbio la sera successiva, cullarlo per un po', se necessario.
Bisognerebbe dire troppo altro stasera, ma quel tramonto e quel mare che c'ho attaccati in testa mi hanno sconvolto le parole. Guardi quanto sei piccolo e dici cazzo, quanto altro.
Non so dire altro, è probabile che io non le abbia sciolte troppo bene le mani. Perciò adesso imprimo questo scritto qua sopra. Che poi magari uno dice "ma che nome c'hanno i tuoi mostri mentali?".
Io non lo so, ma devono essere nomi speciali.

Comunque eccheffà, mi metto a sorridere, noi siamo oltre anche per questo.

[Domani chiederò consiglio al perturbatore, che più che psicoroba cognitiva certe volte penso "Maurizio, sei tu il mio pastore".
Ebbene sì, chiederò consiglio.

Perchè sono indecisa.
Non so se mandarti a fanculo adesso oppure no...]


"..e le senti le vene piene di ciò che sei e ti attacchi alla vita che hai..leggero.."

martedì 3 febbraio 2009

E' soltanto lunedì...

Dolce bisogno di rinnegare, stasera.
Non lo so com'è che succede, la partenza a tutto gas e poi la paura di mantenere il piede sull'acceleratore.
Paura? Non ne sono sicura.
Dissuasione, probabilmente.
La psicoroba cognitiva richiede lealtà e non è sempre facile. Proprio tutti i cazzi devono essere spiegati in maniera geometrica, lineare, perfetta, pertinente. Ad alta voce. Se salti una virgola sono fatti tuoi, perchè poi il perturbatore ti farà sentire con le mani legate dietro la schiena. I piedi scalpiteranno e la tua bocca sarà luogo di collisioni tra le parole. Bum!, si scontreranno tutte. E poi soltanto aria in gola, come se ci fosse un risucchio a riprendersi le parole, a ributtarle giù per l'esofago.
Ho perso un po' di violenza, è sfumata. Scrivo, mi leggo e me ne rendo conto. La veemenza. Lo sbattere dei pugni sul tavolo per cercare di capire. E tutte quelle crepe dilanianti dentro al cuore, dentro alla testa, dentro ai gesti. Quello sbattersi ostinato che alla fine era un muoversi in nessuna direzione. Ma quantomeno garantiva l'emozione dell'impressione. Mi fottevo da sola, e adesso lo dico ad alta voce perchè la terapia è innanzitutto questo: guardarsi allo specchio e non aver paura di dire "mamma mia quanto faccio pena". Via le mani dagli occhi. Basta cacarsi sotto di guardarsi dentro e incolpare gli altri!
Comunque tutta questa calma non è poesia e non è serenità, magari è impotenza. Sono le mani alte sulla testa di chi si arrende. Una tregua da quel frugare insistente e caparbio che poi ad un tratto smette perchè non ha niente da offrire.
Cos'era tutto quello scalpitìo, il capriccio di chi cerca un pretesto?
Mezzo pretesto almeno. Non lo so, continuo a non sapere.
Intanto sapere di star intrattenendo l'ennesimo fallimento, ma continuare a camminare.
Alla fine si tratta di una scelta precisa e fondamentale: vivere o morire.
E vivere è questo camminare dritto sull'acqua e su quello che non c'è.
Oggi mi sono imbarazzata davanti a Maurizio. Sono quasi due anni, però dover parlare in quel modo così trasparente ferisce sempre un po'. Fa le guance rosse, fa le mani sudate che strofinano i jeans per cercare non si sa bene cosa, allentare la tensione. Questa svendita è necessaria, strapparsi tutti i panni da dosso e dire sono quella che sono. Occorre coraggio, ed è vero. Quante volte ci sono parole che preferirei omettere, sensazioni che non vorrei passare al vaglio. Perdere un po' di intimità pure, perchè bisogna capire, occorre capire perchè fai questo, alla fine Robè hai bisogno di confermarti e bla bla bla.
A volte mi viene da dire che non è possibile, però so bene che questa è roba per cui non sono ammesse uscite di sicurezza e due più due farà comunque quattro, che io lo voglia o meno.
Senza stare troppo a chiedersi perchè giovedì, quel giovedì e quel benedetto allenamento che non si è fatto e la testa e le mani che hanno agito così.
Senza fingere di non sapere la risposta quando poi ce l'hai depositata dentro, e devi solo accoglierla e dirla chiaramente, a voce alta.
Stasera non funziono, e mi viene da sorridere mentre mi aggrappo al fatto che "è solo una visuale del momento, chè tanto l'architettura cognitiva l'abbiamo restaurata, Robè".
Di un sorriso dolce, nemmeno sarcastico, di un sorriso di chi si vuole abbandonare per un po', riprovare il naufragio e poi ritornare a navigare.

domenica 1 febbraio 2009

-

Dopo un grande dolore subentra un compassato sentimento.
Stanno in cerimoniale compostezza i nervi, come tombe,
il cuore, impietrito, si domanda: ero io che pativo

ieri o quanti secoli orsono...

I piedi si aggirano, automatici,
in terra, in aria, o chissà dove,
una spigolosa via
senza costrutto,
una calma di quarzo, come pietra.

Questa è l'ora di piombo,
se si sopravvive, si ricorda
come gli assiderati la neve.

Prima il gelo, poi lo stupore, poi il lasciarsi andare.


[Mario Luzi]