E' tempo di cullare i dolori metafisici, stasera.
Mi arrampico allo scaffale della libreria nella stanza di Vincenzo, allungo la mano destra verso il ripiano centrale, poi faccio scivolare la punta delle dita tra il porta cd. E comincio a cercare forsennatamente, come chi crede che per salvarsi sia necessario trovare quella determinata cosa e con la presunzione di chi crede che ci sia ancora un modo per salvarsi.
Lo trovo: le musiche de Il favoloso mondo di Amélie, Yann Tiersen. Preparo l'anima ad accogliere l'esperienza dell'estasi.
Soffio sulla facciata della custodia del cd per scansarne la polvere e poi, scrupolosa e delicata, mi faccio aiutare dall'indice della mia mano destra. Bisogna essere delicati con le cose delicate.
Non ricordo il giorno preciso in cui ho messo da parte questo cd, però ricordo di averlo fatto volutamente. Senza delicatezza, affatto. Al contrario, con l'ardore di chi crede che per salvarsi sia necessario fare quella determinata cosa e con la presunzione di chi crede che sia possibile smantellare i ricordi deponendone un oggetto rappresentativo. Ad esempio un disco.
Torno nella mia stanza, mi lascio dietro la porta, papà, mamma, la partita di oggi pomeriggio. Mi lascio dietro il mondo di tutti per restare da sola nel mio.
Les jours tristes, la valse d'Amélie, l'apres midi, la noyee, pas si simple...
Il disco procede ed io mi accorgo che ancora riesce a sfamare, in maniera soddisfacente, il mio bisogno di alienazione.
Play, i piedi si sollevano. Play, se abbasso gli occhi scorgo lontane le nuvole.
Play, qui non c'è spazio.
Play, io sono altrove.
"L'angoscia del tempo che passa ci fa parlare del tempo che fa."
(dal film Il favoloso mondo di Amélie)
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