Se fosse una lettera vorrei potertela leggere ad alta voce, con la speranza che in un punto impreciso della nostra emotività io e te potessimo, per la prima volta, incontrarci.
Ma dentro di me nasce come una preghiera mentre in sottofondo mi fa compagnia Battisti e, se non te lo sei scordato già, tu lo ami Battisti. O vuoi farmi pensare che adesso non lo ami più solo perchè quando ti guardi allo specchio con gli occhi sbarrati, ti cerchi e non ti trovi?!
Non sei più nella dimensione di Pasquale che con la mazza della scopa Pippo tra le braccia si finge Bobby Solo e canta "american woman tu tu tu", che cambia le parole ai testi delle canzoni e altre stronzate che da quando non riempiono più questa casa è inutile anche stare a spiegare, perchè tanto non mi fanno più ridere.
Dovrei essere a studiare perchè giovedì ho l'esame di storia della filosofia, questo benedetto esame su cui non riesco a concentrarmi, che già ho saltato a settembre credendo che starti vicino implicasse dover smettere di vivere la mia vita.
Adesso stringo i denti e ci provo: ho bisogno di gratificarmi, provare che sto resistendo ancora, e che sto resistendo anche per te.
Ci provo perchè nella vita bisogna sempre provarci, lo so che se ci stai dentro non ti fidi, ma credimi che è così.
Se riuscissi a portarti ancora rancore per tutto l'inferno che ci hai regalato me ne fregherebbe che non sei più tu.
Ma questo cuore di figlia innamorata di un padre che in silenzio ha fatto il tifo durante ogni singola partita di pallavolo non riesce ad abbandonarti.
Adesso tocca a te giocare, e si tratta di una partita un po' più importante.
Un play-off, mettiamola così. O passi o sei fuori.
Io non posso aiutarti, devo limitarmi a tifare. In silenzio.
Papà, in un mondo che non ci vuole più, il mio canto libero sei tu.
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