lunedì 5 gennaio 2009

Le radici ca tieni

Copio qui il trafiletto di un libro che parla della mia famiglia e di me, che sono nata e cresciuta tra l'odore del pane.
Questa è una parte della storia del panificio, perciò storia nostra, storia di noi che portiamo avanti la tradizione di un mestiere così nobile.


"Il terzo era un tipo molto caratteristico anche fisicamente, si chiamava Eugenio Cetro ma era soprannominato “Bbiloscia” con forno in via Carmine Guadagni. La sua produzione di pane integrale era molto limitata, ma le sue due grandi specialità erano: per prima le “freselle”, ciambelle di pane semicotto in forno, poi tagliate in due parti nel senso orizzontale e rimesse in forno a biscottare fino al completo raffreddamento del forno stesso. Le suddette freselle erano delizie da gustare sia sotto una zuppa di fagioli, sia, leggermente sfregate con uno spicchio di aglio e inumidite, a formare, nelle calde sere estive, la base della “caponata” cioè coperte da pomodori tagliati a metà, alici salate sott’olio, zucchine alla “scapece”, e spesso anche da melenzane a “fungetielle” e il tutto irrorato da un filo d’olio costituivano un piatto unico fresco e fragrante per la cena. La seconda specialità di Cetro erano le classiche pizze napoletane che, in assenza totale sul territorio delle pizzerie, si era organizzato a produrre di sera e andava in giro a venderle, ben sistemate nella “stufa” (recipiente di banda stagnata contenente più ripiani e coperto da un coperchio sovrastato da uno sfiatatoio a camino) e “dava la voce”, scherzando sul suo soprannome, “Bbiloisc! mò m'aggio furnuto ‘e m’appiccicà cu’ Caflìsc” (storico pasticciere napoletano) e così riforniva di bollenti “margherite” e “marinare” le mense pomiglianesi di una squisita cena invernale.
Poi, fattosi più avanzato in età, e forse anche per l’incremento della produzione, aveva assunto, per la vendita a domicilio, un suo nipote, Alberto. Per le serate molto fredde, aveva inventato una versione della pizza con “pomodoro, aglio, olio e spadella” (peperoncino piccante cui si attribuisce anche effetti afrodisiaci) per cui Alberto nel dare “la voce”, con cui segnalava il suo passaggio per le strade semibuie, diceva: “Muzzeca ponta ponta... e vire ca’ t’afferra!”.
Il figlio Vincenzo, prematuramente scomparso per un incidente stradale, e poi i nipoti, in un panificio moderno, continuano la tradizione delle “freselle” per la delizia del palato degli intenditori Pomiglianesi e producono panini all’ingrosso per il rifornimento quotidiano del fragrante alimento alle salumerie della zona."

[dal libro Acquerelli Pomiglianesi, di Mario De Falco]


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