martedì 30 giugno 2009

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Come faccio spesso, anche oggi ho cercato informazioni e testimonianze ulteriori riguardo il D.B. . E proprio oggi sono incorsa nella testimonianza di un uomo, anch'egli malato. E me ne sono innamorata.
La riporto di seguito:


"Io soffro di Disturbo Bipolare dell'umore e ho un figlio. Se tornassi indietro non so se lo rifarei, questo figlio. So solo che per me è un motivo di stabilità, che lui mi vuole bene e che io faccio di tutto per essere un buon padre. Sono tre anni che prendo il Litio per lui. Ti dico che per un Bipolare amare è una fatica dura, così come lo è per chi ci ama. L'amore però segue strane vie."

Non ho molto da scrivere.

Proprio come ogni volta, anche oggi scendono un po' di lacrime lievi e spaiate a farmi compagnia. Silenziose.
Sapere che è troppo presto perchè questa immane sofferenza finisca è deprimente, il non sapere se finirà è dilaniante.
Non lo so nelle mani di chi siamo, ho detto a mia madre di lasciare stare i santi in Paradiso perchè hanno troppo altro a cui pensare, ma lei persevera. Le preghiere sono illusioni robuste, prolungano l'attesa perchè alimentano la speranza che in fondo qualcosa cambierà. E poi l'attesa implica il rimando della risposta certa e sicura, che potrebbe essere anche la peggiore. E noi non la vogliamo la risposta peggiore.
A noi stessi l'abbiamo già detto che sarà così per sempre ma vogliamo far tacere la vocina che ci dice che la situazione peggiorerà, perchè ne abbiamo bisogno.
Aspettiamo, aspettiamo ed aspettiamo ancora.
Fin quando c'è attesa c'è incertezza, e l'incertezza è una dolce sospensione nel dubbio. Il dubbio implica la probabilità di una speranza. E la speranza (maledetta ingannatrice), lei!, è l'ultima a morire.

Dovrei trovare il coraggio di accettare e di amare comunque, gratuitamente, tutte le cose che mio padre non ha mai detto e ancora adesso non riesce a dire.

E maledetta pioggia che continui anche oggi, e maledetto M. che sono solo 10 giorni che non passo a trovarti e sono scomposta come un castello di carte dopo lo scatenarsi della più furiosa delle folate di vento.

sabato 27 giugno 2009

Idolatrìa del nulla ammalato

(Questo post è costituito al 90% da cose che ho scritto in una mail ad un mio amico)


E' iniziata ieri la Festa de L'Unità e la CASA DEMOCRATICA che noi giovani del "Pettirosso"abbiamo progettato (e arredato) è pronta per accogliere tutti.
"Dillo al PD" è un'iniziativa intrigante e sono contenta di occuparmene personalmente.
Sono ubriaca di entusiasmo e sto bene con i ragazzi.
Sto dedicandomi anima e corpo alla festa per svariati motivi personali (sappiamo bene che stare fermi non ci aiuta) e per affermare il principio della concretezza: vorrei sradicare il sillogismo politica : attaccamento alla poltrona che alberga nelle consapevolezze di tutti quelli che lamentano l'arrivismo e la demagogia senza, però, proporre alternative valide.
Io credo che agire nel sociale sia comunque un modo di fare politica. Anzi, ci metto il determinativo: IL modo di fare politica, probabilmente l'esclusivo e il più funzionale. Perchè se poi vogliamo parlare di colori, partiti e bandiere io quella roba lì la schifo, mi fa vomitare. E non la chiamo politica.
Penso che questo modo di agire, al contrario, sia il vero modo di fare opposizione: informare, cercare il dialogo, "incontrare", ascoltare.
Di base sono una disillusa, e lo sappiamo. Però non voglio subire in silenzio. Voglio fare resistenza in qualche modo. Se anche un solo tamarriello ogni giorno dovesse "entrare" nella casa democratica durante la festa e dovesse fermarsi a leggere un testo di De Andrè incollato ad un pannello, per me sarebbe una vittoria.


Piccola riflessione fremente.

Guardo le foto dell'Iran e, ogni volta, scrutando la gente temeraria e indiavolata disperdersi per le vie di Teheran, penso: perchè se un popolo realmente represso e schiavizzato ha il coraggio di sfidare la dittatura esplicita a cui soccombe, invece un altro popolo (noi) che -sulla carta- è democratico non ha interesse a lottare affinchè i suoi diritti vengano comunque preservati? Indifferenti e accidiosi come siamo, cosa potremmo mai fare se non dovessimo più riuscire a cavalcare il flusso, un giorno?
A Teheran sono scesi tutti per le strade a protestare, a sfidare le armi, e la svolta storica mi sembra proprio questa. Noi non solo non abbiamo, ma nemmeno chiediamo niente. Che vuol dire questo?
Gli iraniani hanno scelto per la moralità: i nostri princìpi quali e dove sono? Perchè, nonostante il clima di scadimento morale e culturale dilagante, la gente continua a cantare fieramente "meno male che Silvio c'è" idolatrando l'emblema dell'immoralità?
E il problema non è SOLAMENTE Silvio, sebbene non possa io nascondere la ripugnanza che provo nei suoi confronti.
Mi chiedo spesso se il male possa derivare interamente da una sola persona: penso alle dittature e mi dico di sì, poi però penso pure all'inedia di chi soccombe in silenzio, senza nemmeno arrogarsi il diritto di arrabbiarsi, e mi dico che allora, forse, "no". Forse il male viene soprattutto da chi lo incoraggia, incitandolo o approvandolo in silenzio.
"Ladro non è solo chi ruba, ma soprattutto chi guarda". Ci penso sempre.
E chi incoraggia il male, lo pubblicizza e lo riverisce presagendo grandi tornaconti (spesso misurabili in euro da aggiungere) è un uomo di princìpi?
Sicuramente no.
E' un uomo?

giovedì 25 giugno 2009

Quella promessa nelle vie di Teheran



Nelle strade di Teheran si misurano adesso quello che c' è di più minaccioso e quello che c' è di più promettente per il destino del nostro mondo. La minaccia ha la divisa nera dei picchiatori e degli sfregiatori arruolati a milioni dal delirio khomeinista. La promessa ha un viso scoperto di ragazza. Avederla così, è facile dire chi è più forte. Ma la questione della forza è complicata. Abbiamo visto ieri la giovane Neda morire sull' asfalto, jeans e sneakers, il bel viso che si riempiva di sangue, il padre che le ripeteva «Non aver paura», prima di gridare di disperazione. Avevamo letto alla vigilia la lettera di un' altra giovane donna: «Prenderò parte alle dimostrazioni domani. Può darsi che si facciano violente. Può darsi che mi succeda di essere fra quelli che verranno ammazzati. Sto ascoltando la musica che amo, anzi voglio mettermi a ballare con qualche canzone. Ho le sopracciglia sottili: può darsi che passi da un salone di bellezza domani, prima... Devo chiamare gli amici e salutare. Tutto quello che possiedo sono due scaffali di libri, ho detto ai miei a chi devono andare... Scrivo questo appunto per i bambini di domani». Ieri l' autrice ha scritto un suo nuovo messaggio, dedicato a Neda, "sorella": «che era una persona dignitosa, e aspettava come me un giorno in cui i suoi capelli venissero scompigliati dal vento...». Dunque è complicata, delicata, la questione della forza. Conobbi l' Iran trent' anni fa, c' era una rivoluzione, c' era una guerra. Poiché la gran maggioranza degli iraniani sono nati dopo di allora - notizia impressionante, a guardarla con gli occhi del nostro occidente- quella conoscenza ormai mi serve a poco. Ma già allora, nella rivoluzione che cacciò lo Scià e il suo pacchiano impero e la sua Savak, erano gli uni accanto alle altre, nelle strade traboccanti, gli uomini fanatici dalle barbe accuratamente incolte e le ragazze libere e intrepide. E cominciarono fin da allora a separarsi e opporsi. Una rivoluzione giovane e sostanzialmente incruenta andò a estrarre da un sobborgo parigino e dal suo tappeto di preghiera un vegliardo senza tempo e gli consegnò un' onnipotenza capricciosa. Nel culto della sua ieratica crudeltà gli uomini accuratamente mal in arnese braccavano le ragazze libere dal viso scoperto, le assalivano a bastonate, oppure strappavano loro di dosso il chador per smascherarne il rossetto o una lacca sulle unghie. Sono trascorsi trent' anni. Sempre nuove ragazze si sono riguadagnate millimetro per millimetro la loro cospirazione per la libertà, un fazzoletto spostato indietro sulla fronte, una ciocca di capelli sbucata come per distrazione da una tempia, una festa domestica senza la tetra mascheratura, come in una effimera terra di nessuno. Hanno pagato carissimo. Ora siamo a questo punto. Dio è grande, gridano gli uni e gli altri, le une e le altre. Eppure mai una separazione è stata così netta, mai è stato così chiaro da che parte stare. Di un Dio che bastona e stupra e lapida, o di un Dio che sorrida del vento tra i capelli delle ragazze. Il vento tra i capelli non è sentimento contro cautela, poesia contro realismo politico. Il realismo politico stringe la presa dei bastoni nelle mani dei picchiatori, e della bomba atomica nell' arsenale dei loro capi. Facciamo affari d' oro, con loro. Ma il conto non tarderà più ad arrivare. Il realismo politico, o almeno quella sua esuberante versione che vuole dissimulare complicità e viltà, si barcamena con l' incertezza sul risultato elettorale. Chi può dire che Ahmadinejad non sia davvero il vincitore? Infatti. Nessuno può dirlo: ma dicono alto il contrario, e al prezzo della vita, i manifestanti di Teheran e di altre città. Ahmadinejad, e quell' invasato Khamenei che ha legato indissolubilmente a lui i propri destini, hanno certo un seguito enorme, come provò la sorpresa delle elezioni scorse, quando a cedergli fu il troppo navigato e troppo corrotto Rafsanjani. Ahmadinejad si procura i propri devoti nei due modi tradizionali con cui si seduce una plebe,e mai è stata esorbitante come oggi un' offerta plebea: affamandola, e aizzandola contro dei presunti colpevoli. I milioni di "volontari" mobilitati in permanenza cui si prodigano grandiosità come la bomba, la distruzione di Israele e il martirio, sono forse ancora sufficienti a far vincere un' elezione normalmente truccata. Mi sembra probabile che non sia andata così, e che la contraffazione dell' esito elettorale abbia ecceduto questa volta ogni precedente. Gli argomenti dell' opposizione sono impressionanti: circoscrizioni in cui la quota dei votanti supera di molto il cento per cento (!), seggi in cui i membri dell' opposizione sono stati estromessi dallo scrutinio, plateali trucchi contabili come l' aggiunta di una cifra a quella che contrassegnava Moussavi, così da trasformarla nel voto ad Ahmadinejad - ciò che oltretutto renderebbe derisorio lo stesso riconteggio... Ma quando anche Ahmadinejad avesse davvero prevalso, che cosa vorrebbe dire di fronte alla insurrezione dei giovani iraniani? Che cosa c' è di democratico in un regime come quello della vilayat-ei-faqih sciita? Il punto in Iran è questo: che, sotto il fatuo e superstizioso potere assoluto della "Guida Suprema", maggioranza o minoranza che sia, il regime di Ahmadinejad vuole decidere brutalmente dei capelli delle ragazze, cioè della vita e della libertà di tutti gli iraniani. Mentre i giovani che a rischio della vita riempiono le strade di Teheran e hanno trovato un provvisorio riferimento nel candidato Moussavi non impedirebberoa nessuno e nessuna di disporre del proprio abbigliamento e della propria libertà. Questa è la partita democratica che riguarda l' Iran, e non consente più al mondo che ha la fortuna della democrazia, una volta che in quel grande paese Neda e le altre abbiano fatto il loro passo, di barcamenarsi, se non rinnegando il proprio vanto e il proprio privilegio. Privilegio enorme è infatti quello di scegliere che uso fare del vento fra i capelli a Teheran e Kabul, e a Bari e Casoria e in ogni luogo del pianeta. Quanto al vanto, è tutto un altro affare. - ADRIANO SOFRI


martedì 23 giugno 2009

Chi si assenta è 'na samenta!



Il mio prestito al Volalto sta per concludersi, la burocrazia dice che manca una settimana esatta da oggi.
Mi avvicino al capolinea dopo una stagione pallavolistica intensa, sicuramente la più intensa dopo tredici anni. Per la prima volta in vita mia mi sono avvicinata ad una meta pallavolisticamente ambita, la serie B2. L'esperienza dei play-off è ineguagliabile e per quanto sia durata poco, l'ho già messa in valigia, tra le cose più importanti che il viaggio mi offre. Il viaggio è la vita, lo sappiamo già.
Adesso è tempo per altre cose. E' sempre tempo per cose nuove, è questo che devo capire.
Adesso è tempo di Festa de L'Unità e se fino al mese scorso l'andazzo era casa-palestra adesso seguo la deviazione: casa-Pettirosso.
Il Pettirosso è l'associazione socio-culturale di Pomigliano affiliata al PD, di cui faccio parte. Non mi sono tesserata per una scelta precisa: non voglio incastrarmi negli ideologismi. Non voglio la politica come farmaco somministrato, non voglio essere quella che fa/dice/pensa "per partito preso". Voglio sentirmi libera, offrire le mie idee e il mio tempo se questo può servire ad alimentare propositi atti a realizzarsi concretamente. E voglio sentirmi libera di distanziarmi, qualora dovesse essercene motivo.
Così in questi giorni sto offrendo tutta me stessa al Pettirosso e agli altri giovani democratici che lo compongono, per rendere speciale questa edizione della festa de L'Unità. Abbiamo in serbo l'allestimento di una vera e propria "casa democratica" da realizzare negli spazi del parco pubblico di Pomigliano. La casa democratica sarà la casa di tutti, un ambiente in cui sarà possibile dibattere, rilasciare messaggi e interviste, ascoltare musica e leggere. Ci farà compagnia De Andrè con gli stralci delle sue canzoni, ci faranno compagnia gli haiku che abbiamo ponderato, le canzoni che abbiamo scelto come base musicale, la mostra su Berlinguer e quella sulla Fiat.
Detto questo vado a nascondermi, mi sento una bambina di quinta elementare che ha perso il filo e non sa più continuare il suo tema.
E' che l'aridità nel cuore, nei gesti e nelle parole mi attraversa interamente. E man mano che mi prende mi paralizza.
Non so più dire le cose che ho da dire.
Aspetto che la pioggia che cade solchi una voragine nel terreno arido che sovrasta la mia sensibilità, soffocandola.


lunedì 22 giugno 2009

!

Perfavore, qualcuno crei un corto circuito in casa di quella cogliona che mi scrive che copierei dal suo blog (PRIVATO!) quelli che in realtà sono stralci della mia più profonda intimità.
O ci pensate voi o ci pensa la polizia.
Dio buono!


N.b. già che ci siamo, non sarebbe possibile far zittire i clacson di tutti i coglioni che suonano all'impazzata se non riparti ad un nanosecondo dallo scattare del verde, al semaforo?

giovedì 18 giugno 2009

diciassettegiugnoduemilanove

Sono ritornata.
Cioè, in verità non me ne sono mai andata.

Ho scritto, cancellato, riscritto e ricancellato.
Ho anche pubblicato quando ho potuto: dall'università, da casa di qualche mio amico paziente.
Ma non basta mai e così succede che torno a catapultarmi nell'etere quando di cose da dire ce n'è una sporta e, come sempre, le parole non arrivano mai. E se arrivano non bastano mai.
Questo è solo il ritorno sconnesso ma atteso di chi resiste con gli occhi assonnati e le mani incerte che non permettono grandi volteggi sul foglio -stasera- .
Solo una cosa importante, fresca di oggi pomeriggio.
Ho dato l'addio (provvisorio?) al mio perturbatore Maurizio.
In ultimo voglio fare i miei più sinceri e inaudibili insulti a questa modernità sfiancante che ti lascia la cornetta in una mano e musichette impazzite che giungono all'orecchio dall'altro capo del telefono, dove centralinisti precari e inefficienti ti dicono che non sanno. E le loro voci diventano paturnie nel cervello.
Che roba!

Buonanotte a tutti i suonatori.